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Lavoro e imprese: previste più di 500mila assunzioni a gennaio

A gennaio 2024 le imprese ricercano più di 508mila lavoratori, circa 1,4 milioni sono previsti nel primo trimestre dell’anno. In totale, oltre 4mila assunzioni in più rispetto a gennaio 2023 (+0,9%) e +69mila (+5,3%) in riferimento all’intero primo trimestre.
I servizi alle persone guidano la domanda, con 70mila assunzioni programmate, +10,0% rispetto gennaio 2023, seguiti dal commercio (68mila, +13,7%).

Negativa, invece, è la tendenza prevista delle imprese del turismo e dell’industria manifatturiera, rispettivamente -12,1% e -2,3% rispetto a gennaio 2023. Inoltre, la difficoltà di reperimento sale al 49,2% (+3,7%).
A delineare questo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

L’industria cerca 172mila lavoratori, i servizi 336mila

Sempre a gennaio l’industria ha in programma complessivamente 172mila assunzioni (-1,1%), di cui 121mila nelle industrie manifatturiere e nelle public utility, e 51mila nelle costruzioni (+1,8%).
I servizi prevedono di assumere in totale 336mila lavoratori (+2,0%).

In generale sono le piccole (10-49 dipendenti) e le medie imprese (50-249 dipendenti) a prevedere andamenti di crescita delle assunzioni (rispettivamente +3.300 e +3.800), ma è positiva anche la previsione delle grandi imprese (oltre 250 dipendenti), con +1.900 assunzioni.
Al contrario, le micro imprese (1-9 dipendenti) prevedono una flessione pari a circa -4.500 assunzioni rispetto allo stesso periodo del 2023.

I più difficili da reperire sono i farmacisti   

Quanto al mismatch tra domanda e offerta interessa il 49,2% (250mila) delle assunzioni, soprattutto a causa della mancanza di candidati (31,1%), e della preparazione inadeguata (14,3%).

Dal Borsino delle professioni sono difficili da reperire il 91,4% di farmacisti, biologi e altri specialisti nelle scienze della vita, seguiti da operai addetti a macchinari dell’industria tessile e delle confezioni (72,8%), fonditori, saldatori, montatori di carpenteria metallica (72,6%), addetti alle rifiniture delle costruzioni (71,8%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (70,6%).

In crescita i contratti a tempo indeterminato

I contratti a tempo determinato si confermano la forma maggiormente proposta, con circa 206mila unità (40,5% del totale), sebbene in calo rispetto a un anno fa (41,3%). In crescita invece i contratti a tempo indeterminato, che passano dai 122mila di gennaio 2023 agli attuali 129mila (+7mila, +5,7%). 

Con riferimento ai livelli di istruzione, il 19% delle ricerche di personale è rivolto a laureati (97mila), il 30% a diplomati (155mila) e il 32% a chi è in possesso di una qualifica/diploma professionale (163mila).
Inoltre, per oltre 91mila assunzioni (18,1%) le imprese pensano di rivolgersi a lavoratori immigrati, soprattutto nei settori servizi operativi (30,8%), logistica (29,1%), servizi di alloggio, ristorazione, turismo (24,4%), costruzioni (21,0%) e industrie alimentari, bevande e tabacco (20,6%).

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COP28: qual è l’impegno delle imprese italiane per il net-zero?

Ipsos e il Network italiano del Global Compact delle Nazioni Unite (UNGC) hanno condotto una ricerca dal titolo ‘L’impegno delle aziende italiane per il net-zero’, presentata in occasione della COP28 di Dubai.

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici è terminata con il raggiungimento di un accordo che prevede la transizione verso l’addio ai combustibili fossili entro il 2050. Ma a quanto rileva la ricerca realizzata da Ipsos e UNGC solo un’impresa italiana su cinque dichiara di avere adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico, e di avere fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti.

L’UN Global Compact

La ricerca registra una coerenza fra i dati delle aziende che calcolano le emissioni e di quelle che hanno fissato obiettivi net-zero.
Fra le aziende non aderenti allo UN Global Compact (il Patto dell’ONU per incoraggiare le aziende ad adottare politiche ESG) il 17% delle imprese intervistate ha comunque definito obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Di queste, solo un’azienda su dieci è impegnata sul target net-zero o intende farlo da qui a due anni.

Se si guarda, invece, al cluster delle imprese partecipanti al progetto dell’ONU, la percentuale delle aziende con obiettivi di riduzione delle emissioni sale al 58%, portandosi dietro anche il dato molto positivo delle otto imprese su dieci che hanno definito target net-zero, o hanno in programma di farlo nel prossimo biennio.

I freni all’impegno sono soprattutto economici

Significativo il dato che emerge dalla ricerca rispetto ai freni all’impegno ambientale.
Per il 34% delle aziende si tratta di limiti economici che non consentono di fare investimenti adeguati, per il 27% di freni burocratici, e per un altro 27% pesa la mancanza di figure professionali competenti.

Quanto alle risorse umane dedicate alla definizione di obiettivi di riduzione tra le aziende che non hanno sottoposto i propri target a validazione, nel 34% dei casi oggi è presente una persona o un team che se ne occupa, mentre il 41% preferisce affidarsi a consulenti esterni.

Moda, food, utilities i settori più informati

Rispetto alla conoscenza del tema ambientale nei vari settori i livelli di conoscenza maggiori si riscontrano nella moda, nel food e nelle utilities.
In alcuni settori, come quello delle costruzioni, ad alto impatto in termini di emissioni, le conoscenze sono piuttosto sommarie e poco diffuse.

Automotive e utilities risultano invece più consapevoli del valore in termini di competitività e reputazione per l’adozione di comportamenti sostenibili.
Per quanto riguarda impegno e iniziative ambientali, è sempre il settore delle utilities a essere impegnato in modo più strutturato, sia tramite iniziative di contrasto al cambiamento climatico sia di sensibilizzazione interna all’azienda.
Il retail, al contrario, risulta il settore più indietro rispetto alle iniziative.

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Credito al consumo: nel weekend del Black Friday +8% di richieste

Nel corso del fine settimana del Black Friday e del Cyber Monday, dal 24 al 27 novembre scorsi, la domanda di credito al consumo è aumentata del +8% rispetto alla media del mese precedente.
Inoltre, le richieste di Buy now, pay later (le richieste di finanziamento effettuate e gestite tramite canali digitali) e quelle di dilazioni di pagamento (la formula di finanziamento che si effettua presso retailer convenzionati) hanno registrato gli incrementi maggiori.

A trainare la crescita sono i giovani della Gen Z, i nati dopo il 1996, e i Millennials, i nati dopo il 1981.
È quanto emerge da uno studio CRIF, effettuato sul patrimonio informativo di EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF – Centrale Rischi Finanziari.

Una crescita guidata da Gen Z e Millennials

In particolare, CRIF registra complessivamente un +74% per quanto riguarda le richieste di Buy now, pay later, e un +52% per le Dilazioni di pagamento.
Quanto all’età del richiedente, l’analisi evidenzia come la crescita della domanda nel periodo Black Friday rispetto al precedente periodo di ottobre-novembre sia guidata dai Gen Z e dai Millennials.

Infatti, “l’incidenza di queste generazioni più giovani è aumentata nel Black Friday rispetto alle settimane immediatamente precedenti, in particolare per quanto riguarda gli strumenti di credito innovativi, dove i nati dopo il 1981 sono quasi i due terzi dei richiedenti e segnano un +72% delle richieste di ‘Buy now, pay later’ e dilazioni di pagamento”, spiega Simone Capecchi, Executive Director di CRIF.

Le dilazioni di pagamento registrano un’impennata del +95%

“Va comunque segnalato che la penetrazione di queste forme più innovative di credito aumenta anche per le generazioni più anziane, i nati prima degli anni ’80, a conferma di un cambiamento delle abitudini di pagamento che influenza tutte le fasce di età”, aggiunge Capecchi.
Se si guarda al confronto tra il periodo del Black Friday di quest’anno rispetto al 2022 emerge complessivamente un aumento limitato della domanda di credito al consumo (+2%), trainato proprio dalle nuove forme di finanziamento. Le dilazioni di pagamento registrano infatti una impennata del +95%.

Prestiti finalizzati -17%, Prestiti Personali +32%

Per le forme di finanziamento più tradizionali, come i Prestiti Finalizzati, ma non per l’auto, si riscontra un considerevole calo: -17% rispetto al Black Friday 2022. I Prestiti Personali, al contrario, registrano una ripresa significativa: +32% rispetto al periodo precedente.
L’analisi CRIF ha anche indagato l’andamento della domanda di credito al consumo a livello di area geografica.

In questo caso, le richieste di credito nel periodo del Black Friday sono aumentate in particolare in Emilia-Romagna, Campania e Friuli–Venezia Giulia.

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Conoscenza civica: gli alunni italiani superano la media internazionale

Studentesse e studenti italiani si dimostrano molto interessati e attenti a questioni come parità tra i sessi, diritti degli immigrati e sostenibilità ambientale. E hanno un grado di conoscenza civica superiore alla media internazionale, ma le differenze geografiche tra le regioni, così come lo status socioeconomico della famiglia, fanno la differenza.
È quanto emerge dall’indagine internazionale IEA ICCS (International Civic and Citizenship Education Study), condotta sull’educazione civica e la cittadinanza degli alunni di 13-14 anni, e presentata da Invalsi il 28 novembre.

L’indagine, relativa al 2022, tiene conto di cinque aree di interesse, sostenibilità, tecnologie digitali, diversità, opinioni su sistema politico, cittadinanza globale, e tre “dimensioni”, conoscenza civica, atteggiamento e impegno, importanza dei contesti.

I livelli di rendimento

L’Italia ha conseguito un punteggio medio di conoscenza civica significativamente superiore alla media, pari a 523, classificandosi al settimo posto. Il punteggio più alto è stato ottenuto da Taipei cinese (583) e Svezia (565), il più basso da Bulgaria (456) e Colombia (452).
L’Italia presenta punteggi alti nei primi due livelli dei livelli di rendimento (A e B) e bassi negli ultimi due (C e D).

Sud e Isole registrano il punteggio medio più basso dalla media nazionale, il Nord il più alto, mentre al Centro Italia molti studenti non raggiungono neanche il livello D, il minimo considerato dall’indagine.

Differenze di genere e status socioeconomico

In diciotto Paesi le studentesse hanno maggiore conoscenza civica dei loro compagni maschi. E in Italia le ragazze fanno registrare 27 punti in più dei ragazzi in tutte le macroaree geografiche. A eccezione del Sud, dove i risultati sono simili ma non presentano rilevanza statistica.
Dai dati emerge, inoltre, che lo status socioeconomico più alto degli studenti permette loro di avere maggiore conoscenza civica.

Un indice determinante che pesa molto, poi, è costituito dalla quantità di libri presenti in casa (più o meno di 26). Chi ha uno status socioeconomico alto, a livello internazionale, si discosta in questo indice di ben 65 punti.

Cittadinanza attiva e futuro dei giovani

Gli studenti italiani nel futuro sentono di poter partecipare civicamente, hanno aspettative più alte della media internazionale e si dichiarano propensi in misura maggiore degli studenti a livello medio internazionale a intraprendere una serie di attività a protezione dell’ambiente.
Per quanto riguarda la partecipazione elettorale, la propensione degli studenti italiani al voto in età adulta è maggiore di quella rilevata a livello medio internazionale.

I dati rivelano, inoltre, che per l’83% degli studenti italiani la democrazia resta la migliore forma di governo. Tuttavia, sono meno soddisfatti del sistema politico e più critici nei suoi confronti rispetto alla media internazionale. E sembrano avere meno fiducia nei tribunali e nel Parlamento rispetto alla media internazionale, ma più fiducia nei media tradizionali.

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AI e Voice deepfake: il futuro delle frodi è “vocale”

Di recente, Open AI ha presentato un modello di API Audio in grado di creare discorsi umani e messaggi vocali. Finora, è il software che si avvicina di più al vero linguaggio umano.
API Audio è in grado di riprodurre vocalmente il testo richiesto, consentendo agli utenti di scegliere fra una serie di opzioni vocali. Attualmente, non può essere utilizzato per creare voice deepfake, ma è indicativo del rapido sviluppo delle tecnologie di generazione vocale.

Sempre di recente, grazie all’Intelligenza artificiale, che ha combinato parti di una vecchia registrazione migliorandone la qualità audio, i Beatles hanno entusiasmato milioni di fan pubblicando una nuova canzone.
La domanda è: in futuro i modelli vocali sviluppati con l’AI potrebbero diventare un nuovo strumento nelle mani dei criminali informatici? 

Per ora la voce umana non è completamente imitabile 

La risposta è sì: nonostante i deepfake e gli strumenti utilizzati per realizzarli non siano ancora ben sviluppati o diffusi, il loro potenziale utilizzo nelle frodi è estremamente elevato. E la tecnologia non smette di evolversi.
Oggi non esiste alcun dispositivo in grado di produrre voice deepfake di alta qualità, ovvero, che non sia distinguibile dal vero parlato umano.

Tuttavia, negli ultimi mesi sono stati rilasciati sempre più strumenti per generare la voce umana.
Inoltre, se in precedenza gli utenti avevano bisogno di competenze almeno di programmazione di base, ora sta diventando più facile lavorare con questi strumenti
Insomma, a breve verranno sviluppati modelli che combineranno semplicità d’uso e qualità dei risultati.

Un esempio di frode riuscita

Le frodi che sfruttano l’Intelligenza artificiale per ora non sono frequenti, ma esistono già esempi di casi ‘riusciti’.
A metà ottobre del 2023, il venture capitalist americano Tim Draper ha avvertito i suoi follower su Twitter che i truffatori hanno usato la sua voce per alcune truffe. In particolare, Tim Draper ha segnalato che le richieste di denaro effettuate con la sua voce sono il risultato dell’Intelligenza artificiale.

Nonostante questo caso, finora la società non percepisce i voice deepfake come una possibile minaccia informatica. Poiché sono pochissimi i casi in cui vengono utilizzati con intenzioni malevole, le tecnologie di protezione tardano a diffondersi.

Il modo migliore per proteggersi è ascoltare attentamente

Per il momento, il modo migliore per proteggersi è ascoltare attentamente le parole dell’interlocutore al telefono. Se la qualità della registrazione è bassa, contiene rumori e la voce sembra robotica, non bisogna fidarsi delle informazioni ascoltate.

Un altro modo per testare ‘l’umanità’ dell’interlocutore è quello di porre domande insolite. Ad esempio, se l’interlocutore fosse un modello vocale, una domanda sul suo colore preferito lo lascerebbe perplesso, poiché non è quanto solitamente chiede la vittima di una frode. Il ritardo nella risposta renderà quindi chiaro che l’utente è stato ingannato.
Un’altra opzione è quella di installare una soluzione di sicurezza affidabile e completa. Sebbene non possa rilevare al 100% i voice deepfake, può aiutare gli utenti a evitare siti web sospetti, pagamenti e download di malware, proteggendo i browser e controllando tutti i file sul computer.

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Gli italiani con un conto connesso aumentano del 30% 


Secondo i dati dell’ultimo Market Outlook di CRIF, la crescita dell’adozione dell’Open Banking in Italia continua anche nel primo semestre 2023.

Il numero di utenti che connettono almeno un conto corrente aumenta del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e il tasso di successo da parte dei consumatori digitali segna un +6,2%.
Banca d’Italia stima che nel 2022 il numero di utenti attivi nel sistema di Open Banking è stato di circa 1 milione, con proiezioni di crescita che vedono raggiungere i 10 milioni entro il 2025.
L’analisi di CRIF evidenzia un marcato spostamento della distribuzione anagrafica degli utenti verso classi più anziane.

Non solo giovani: anche Boomers e Generazione X utilizzano i servizi finanziari digitali

Un 6% della popolazione che utilizza l’Open Banking si è spostato infatti dalla Generazione Z alle generazioni successive, a testimonianza dell’evoluzione culturale che vede anche Boomers e Generazione X avere sempre più confidenza con i servizi finanziari digitali.

Rimangono però le generazioni più giovani quelle che trainano la diffusione dell’Open Banking, sia in termini di tasso di consenso sia di successo.
Infatti, i ‘New to Credit’, tipicamente più giovani, fanno registrare un tasso di consenso maggiore del 20% rispetto agli ‘Active to Credit’. Inoltre, sono i più giovani a far registrare un maggiore incremento del tasso di consenso anno su anno.

Transazioni più frequenti per cibo e spese giornaliere

Per quanto riguarda la distribuzione delle transazioni di Open banking, quelle effettuate per cibo e spese giornaliere sono le più frequenti, anche se, complessivamente, cala leggermente la loro incidenza sul totale a favore di Shopping, Hobby e tempo libero, Tasse e bollette.
Emergono inoltre sostanziali differenze tra i clienti titolari di mutuo a tasso fisso e mutuo a tasso variabile.

Infatti, i titolari di mutuo a tasso variabile, che sono stati maggiormente impattati dall’aumento dei tassi di interesse, hanno fatto registrare una disponibilità media prossima allo zero, a differenza dei titolari di mutuo a tasso fisso.

Il Payments Package normativo della UE

Per l’Open Banking una svolta significativa è data dall’evoluzione del panorama normativo.
La Commissione Europea ha presentato un pacchetto di nuove misure, collettivamente note come Payments Package, che comprendono una proposta di direttiva c.d. PSD3 che aggiorna in parte l’attuale PSD2, una proposta di regolamento (PSR) che disciplina i servizi di pagamento, in senso ampio, includendo una sezione dedicata ad Open Banking, e una proposta di regolamento (FIDA) per istituire un framework per accesso a dati finanziari (non solo bancari/transazionali) c.d. Open Finance, con ruoli, regole e schemi per il data sharing.

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Cybersecurity: individuati un malware bancario, uno stealer e un nuovo tipo di ransomware

Sono tre le nuove minacce capaci di rubare dati e denaro identificate dall’ultimo report sul crimeware di Kaspersky: lo stealer GoPIX, che prende di mira i sistemi di pagamento PIX, lo stealer multifunzionale Lumar e il ransomware Rhysida.
La prima minaccia identificata dal report, GoPIX, è una campagna malevola attiva da dicembre 2022, e si focalizza sul sistema di pagamento PIX, ampiamente utilizzato in Brasile.
La campagna ha inizio quando gli utenti cercano WhatsApp web su internet e vengono reindirizzati attraverso annunci ingannevoli.

Grazie al tool anti-frode IP Quality Score, che permette di distinguere gli utenti reali dai bot, GoPIX offre due opzioni di download a seconda dello standard della porta 27275, collegata al software Avast Safe Banking.
Gli utenti, quindi, ‘scaricano’ un malware progettato per rubare e manipolare i dati delle transazioni, che permette di eseguire diverse operazioni e rispondere ai comandi di un server command-and-control (C2).

Un nuovo stealer dalle funzionalità “impressionanti”

Lumar, invece, è un nuovo stealer multifunzione apparso a luglio 2023 grazie a un utente chiamato Collector. Lumar vanta funzionalità impressionanti, tra cui la cattura di sessioni di Telegram, la raccolta di password, cookie, dati di autofill, il recupero di file dal desktop degli utenti e l’estrazione di dati da vari portafogli criptati.
Le dimensioni ridotte di Lumar, dovute alla codifica C, non ne compromettono la funzionalità. Una volta eseguito, Lumar raccoglie le informazioni di sistema e i dati dell’utente e li invia al C2.
L’efficiente raccolta dei dati è facilitata dall’uso di tre fili separati. Il C2, gestito dall’autore del malware come Malware-as-a-Service (MaaS), offre semplici funzionalità come statistiche e registri di dati. Gli utenti possono scaricare l’ultima versione di Lumar e ricevere notifiche su Telegram con i dati in arrivo.

Il ransomware dall’esclusivo meccanismo di autocancellazione

Rilevato a maggio attraverso la telemetria di Kaspersky, Rhysida opera come Ransomware-as-a-Service (RaaS).
Rhysida si contraddistingue per il suo esclusivo meccanismo di autocancellazione e la compatibilità con le versioni precedenti a Windows 10 di Microsoft.
Scritto in C++ e compilato con MinGW e librerie condivise, Rhysida mostra una progettazione sofisticata.
Pur essendo relativamente nuovo, ha affrontato problemi iniziali di configurazione con il suo server onion, dimostrando un rapido adattamento e apprendimento del gruppo.

Le minacce informatiche a carattere finanziario sono in continuo aumento

Dal momento che le minacce informatiche a carattere finanziario continuano ad aumentare, gli esperti invitano gli utenti a rimanere vigili.
“Con l’aumento delle minacce informatiche di natura finanziaria, il nostro impegno per la protezione degli ecosistemi digitali rimane costante – dichiara Jornt van der Wiel, Senior Security Researcher del GReAT di Kaspersky -. Seguiamo da vicino l’evoluzione del panorama delle minacce, sviluppando soluzioni di sicurezza per contrastare proattivamente gli attacchi. Per garantire la sicurezza, consigliamo l’adozione di una robusta strategia di cybersecurity, che mitighi le minacce in modo efficace”.  

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TFR: per le Pmi la rivalutazione ha un costo aggiuntivo di 6 miliardi

Il boom dell’inflazione ha causato anche una forte rivalutazione del Trattamento di Fine Rapporto, che quest’anno alle imprese con meno di 50 dipendenti potrebbe costare mediamente 1.500 euro in più a dipendente. Un extracosto stimato dall’Ufficio studi della CGIA in almeno 6 miliardi.

I dipendenti delle piccole imprese hanno la possibilità di trasferire il proprio TFR in un fondo di previdenza complementare, oppure di lasciarlo in azienda, ipotesi, quest’ultima, scelta da buona parte dei dipendenti.
Ogni anno, pertanto, come previsto dalla legge l’ammontare del TFR accantonato viene rivalutato dell’1,5%, a cui si aggiunge il 75% della variazione dell’inflazione conseguita a dicembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

I calcoli dell’extracosto per anzianità

Pertanto, l’Ufficio studi della CGIA ipotizza che per un lavoratore che timbra il cartellino da 5 anni presso la stessa azienda la rivalutazione del suo TFR provocherà nel bilancio 2023 un incremento dei costi pari a 593 euro rispetto a quanto è stato riconosciuto nel periodo che va dalla sua assunzione fino al 2020.

Se, invece, l’anzianità lavorativa è di 10 anni, l’aggravio è di 1.375 euro, con 15 anni di servizio, 2.003 euro, e se il dipendente varca le porte dell’azienda da 20 anni l’extracosto tocca 2.594 euro
Tendenzialmente, i lavoratori dipendenti delle piccole imprese hanno un’anzianità di servizio più contenuta dei colleghi occupati nelle realtà più grandi, che in virtù della corresponsione di retribuzioni più ‘pesanti’ presentano un turn-over meno accentuato.

Una stangata da brividi

Il numero dei lavoratori dipendenti delle piccole aziende che hanno trasferito il TFR nei fondi pensione è contenutissimo.
Ipotizzando che quanti hanno scelto di non trasferirlo in un fondo pensione complementare siano 4,3 milioni (66% circa) e abbiano un’anzianità di servizio media stimata di 10 anni, la variazione della rivalutazione del TFR è stata stimata ad almeno 6 miliardi.

Insomma, per il milione e mezzo di imprese con meno di 50 addetti la fiammata inflazionistica avrebbe comportato, in materia di TFR, una stangata da brividi, che sommata agli effetti riconducibili all’aumento dei tassi di interesse ha messo in difficoltà la gran parte del sistema produttivo del nostro Paese.

Piccole imprese del Sud più penalizzate

In mancanza dei dati riferiti al numero di lavoratori dipendenti occupati nelle imprese con meno di 50 addetti, che hanno deciso di trasferire il proprio TFR nei fondi pensione, si può ipotizzare che le realtà imprenditoriali finanziariamente più colpite siano quelle ubicate nei territori dove il peso delle piccole aziende in termini di addetti è maggiore.

Pertanto, la situazione più critica dovrebbe aver interessato il Mezzogiorno, in particolare Vibo Valentia, dove il 91% delle imprese con dipendenti presenti in provincia ha meno di 50 addetti.
Seguono Trapani (89,3%), Agrigento (88,7%), Nuoro (88,3%), Campobasso (86,1%), Prato (85,7%), Grosseto (85,6%), Cosenza (85,1%), Imperia (84,7%) e Barletta-Andria-Trani (84,3%). 

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Quanto conta la qualità del sonno sulla produttività e sulla sicurezza sul lavoro?

Una ricerca finanziata dall’INAIL e condotta dal Dipartimento di Medicina del Lavoro del Policlinico di Milano, in collaborazione con le università di Milano e Torino, il CNR e la Fondazione IGEA Onlus, ha indagato l’importanza della qualità del sonno sulla produttività lavorativa e sulla sicurezza sul lavoro, in particolare negli individui sopra i 50 anni. Questo studio osservazionale e prospettico ha coinvolto lavoratori di età superiore ai 50 anni sottoposti a sorveglianza sanitaria. Durante il periodo tra ottobre 2021 e marzo 2022, sono stati reclutati 468 partecipanti, di cui il 62% erano impiegati nel settore dei white collars e il 38% nel settore dei blue collars. Tra i blue collars, la maggior parte svolgeva o aveva svolto lavori con turni, compresi quelli notturni. I partecipanti provenivano principalmente dai settori bancario (49%), chimico (29%) e metalmeccanico (22%).

Le variabili esaminate, compreso il tecnostress

Nel corso dello studio, sono state valutate diverse variabili, tra cui la capacità lavorativa, l’alterazione della qualità del sonno, le performance cognitive (attenzione, flessibilità mentale, memoria visuo-spaziale e memoria verbale a breve termine), il tecnostress, l’età biologica, i fattori di rischio psicosociali e il benessere psicologico. I risultati dello studio hanno evidenziato correlazioni significative tra questi fattori. In particolare, una peggiore qualità del sonno è stata associata a una minore capacità lavorativa, e questa relazione è stata più marcata nei blue collars rispetto ai white collars. D’altro canto, una migliore performance cognitiva è stata significativamente correlata a una maggiore capacità lavorativa, specialmente nel caso dei blue collars e nella valutazione del Memory Span Corsi. Inoltre, un elevato livello di tecnostress è stato associato a una minore capacità lavorativa e a performance cognitive inferiori.

Gli effetti del poco sonno peggiori per operai over 50

Lo studio in corso suggerisce un’associazione tra una ridotta capacità lavorativa, una diminuzione delle performance cognitive (soprattutto la memoria a breve termine) e la qualità del sonno, soprattutto nei lavoratori sopra i 50 anni, specialmente se si tratta di operai o di coloro che lavorano a turni. Questi dati, insieme alle misurazioni biologiche relative all’età biologica, sembrano indicare una maggiore suscettibilità in lavoratori che affrontano impegni fisici e orari irregolari.

Le implicazioni per la sicurezza sul lavoro

Se confermati alla fine dello studio, questi risultati potrebbero avere importanti implicazioni per la sicurezza sul lavoro, data l’associazione tra la memoria e la capacità lavorativa, e potrebbero anche aiutare a concentrare la valutazione del rischio e le misure preventive sulle specificità dei lavoratori di età superiore ai 50 anni.

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Il gaming online? E’ uno spazio di interazione sociale

Uno studio condotto da Samsung a livello europeo ha rivelato che il gaming online ha un ruolo significativo come luogo di incontro e interazione sociale per i giocatori italiani. Nel dettaglio, il 49% dei giocatori italiani considera il gaming online un punto di incontro per relazionarsi con altri gamer e un luogo virtuale dove creare legami autentici. Inoltre, il 30% dei giocatori italiani afferma di stringere amicizie incontrandosi e giocando in rete. Lo studio, chiamato Gaming Relationship Report 2023, ha coinvolto oltre 7.500 gamer in cinque paesi europei e ha evidenziato come il gaming online stia diventando sempre più importante per la socializzazione tra i giocatori di età compresa tra i 18 e i 44 anni. Nel complesso, il 62% dei gamer europei in questa fascia d’età gioca almeno una volta a settimana.

Gli italiani creano relazioni… giocando

In particolare, l’Italia si distingue per l’importanza attribuita alle relazioni nate attraverso il gaming. Il 49% dei giocatori italiani si relaziona con altri giocatori online, e tra i giovani tra i 18 e i 24 anni, questa percentuale sale addirittura al 73%. Inoltre, il 30% dei giocatori italiani afferma di aver stretto amicizie attraverso i videogiochi, con il 56% dei giovani tra i 18 e i 24 anni e il 42% tra i 25 e i 34 anni che hanno creato amicizie che vanno al di là del mondo virtuale.

Un mezzo di connessione

Il rapporto sottolinea l’importanza del gaming come mezzo di connessione tra giocatori, superando confini geografici e differenze culturali. Paesi come Germania, Regno Unito, Spagna e Italia mostrano un alto grado di interazione online tra i giocatori, con l’Italia che spicca con il 49% di giocatori che si relazionano online. Gli italiani si collocano al primo posto anche per il numero di amicizie strette tramite i videogiochi (30%), seguiti dagli spagnoli (26%) e dai britannici (oltre un quarto).

Non solo un passatempo

Il gaming non è solo un passatempo ricreativo, ma anche un mezzo per sviluppare competenze e autostima. Un terzo dei giocatori italiani vorrebbe ricevere una formazione specifica per migliorare le proprie abilità di gioco, e il 51% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ritiene che il gaming abbia contribuito al loro sviluppo personale.
In Europa, il gaming è diventato un fenomeno di intrattenimento di massa, con una percentuale significativa di giocatori attivi. La Spagna è il paese con la più alta percentuale di giocatori (89%), seguita dalla Francia (78%). Anche in Italia, il gaming ha guadagnato una crescente popolarità, con l’83% della popolazione che si intrattiene con i videogiochi e il 71% che continua a giocare regolarmente.