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Il ricorso allo smart working nelle Pmi è raddoppiato rispetto al periodo antecedente l’emergenza coronavirus, mentre lo stesso non è accaduto nelle grandi imprese. A rilevare questa tendenza è un’indagine a cura dell’associazione datoriale Cifa, del sindacato Confsal e del fondo interprofessionale Fonarcom e realizzata dal Centro studi InContra su un campione di quasi 2.000 lavoratori. Tra le altre evidenze, la ricerca mette in luce che il non ricorso al lavoro agile resta per lo più una scelta volontaria del lavoratore; solo per il 30% si deve alla mancanza di strumentazione idonea e per il 22% a una decisione aziendale. Quindi, cosa c’è che non va nello smart working? Secondo gli intervistati, anche se riconoscono a questa modalità un buon potenziale di bilanciamento vita-lavoro, per  il 70% dei rispondenti il problema è la capacità di riuscire a dividere i tempi tra vita professionale e privata. Ancora, circa il 60% dei collaboratori dichiara che, secondo il loro percepito, all’aumento delle ore lavorative non corrisponda un commisurato riconoscimento di straordinari, unitamente al “fastidio” di sentirsi sempre reperibili.

Il risparmio? Un dato di fatto

L’aspetto sul quale sono tutti d’accordo è invece il risparmio, mettendo insieme trasporti, pranzi e altre spese vive. Allo stesso modo, i lavoratori riconoscono l’aumento della propria produttività e l’incremento dell’autonomia e della responsabilità nel raggiungimento degli obiettivi. Le difficoltà, invece, sono da ricondurre ai problemi di coordinamento con il capo e con il team, di condivisione di informazioni e tempi di risposta. Nella relazione da remoto, infatti, per il 35% dei soggetti non si ha la stessa efficacia che in presenza. Infine, riporta l’analisi, le persone coinvolte nella ricerca si dicono favorevoli a essere valutate sulla capacità di raggiungere i propri obiettivi lavorativi: però molte meno (il 60%) sarebbero d’accordo nel formulare la loro retribuzione in base ai risultati raggiunti: questo a causa di una scarsa fiducia nei confronti della dirigenza.

“Adozione frettolosa dello smart working”

Il presidente di Cifa, Andrea Cafà, ha dichiarato: “Le criticità emerse dall’indagine vanno lette alla luce di un’adozione per lo più frettolosa dello smart working non preceduta da un’adeguata preparazione, da una buona formazione e da un cambiamento culturale. I risultati ci invitano, come Cifa, Confsal e Fonarcom, a consegnare a imprese e a lavoratori, in definitiva all’intero mercato del lavoro, strumenti e soluzioni efficaci per adottare al meglio, da qui in poi, questa modalità lavorativa. Le imprese, però, devono fare un grande sforzo rivedendo i propri modelli organizzativi, investendo in formazione e in strumentazione tecnologica oltre a rafforzare il clima di fiducia”.