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Sanità: dalle app all’AI il futuro della medicina europea è digitale

Gli scienziati europei, sotto la guida di esperti dell’Università Cattolica di Roma, stanno lavorando per mettere a punto una piattaforma in grado di valutare oggettivamente efficacia e affidabilità delle tecnologie digitali in campo medico.

Si tratta del progetto di ricerca di Health Technology Assessment (HTA) applicato alle tecnologie sanitarie digitali (DHTs), The first European Digital Health Technology Assessment framework co-created by all stakeholders along the value chain (EDiHTA), finanziato con 8 milioni di euro nell’ambito di Horizon.
Insomma, dalle app alle visite da remoto fino all’Intelligenza artificiale a scopo diagnostico, e più in generale, a supporto dei clinici nello scegliere le cure migliori per ogni paziente, la tecnologia è al servizio della sanità del futuro.

Migliorare la qualità delle cure e ridurre le disuguaglianze di accesso contenendo i costi

L’adozione di soluzioni di telemedicina, app per la salute e di strumenti basati sull’Intelligenza artificiale, può non solo migliorare la qualità delle cure, ma anche ridurre le disuguaglianze di accesso e contenere i costi.

Nel 2020 il COVID ha imposto un’accelerazione alla trasformazione digitale dei servizi sanitari.
In Italia, le cartelle cliniche elettroniche, i pagamenti online e le prescrizioni digitali sono state rapidamente implementate.

La piattaforma verrà testata negli ospedali europei   

EDiHTA proporrà dunque il primo framework digitale di Health Technology Assessment, che sarà specificamente dedicato alle tecnologie digitali, per valutare la telemedicina, le app mediche, l’Intelligenza artificiale a diversi livelli geografici (nazionale, regionale e locale) e istituzionali, come le strutture ospedaliere.
La piattaforma verrà testata negli ospedali europei.

L’obiettivo finale è quello di creare un sistema che aiuti a prendere decisioni mirate su quali tecnologie sanitarie digitali adottare. In particolare, su come integrare le tecnologie al meglio nel percorso clinico dei pazienti, e come utilizzarle in merito alle decisioni di politica sanitaria da adottare per la gestione degli ospedali.

Un progetto che coinvolge università, ospedali e l’European Health Management Association 

Il progetto ha come centro coordinatore l’Università Cattolica e vede come Principal investigator Americo Cicchetti, attualmente Direttore generale alla Programmazione del Ministero della Salute, e come co-PI Dario Sacchini, Associato Medicina Legale all’Università Cattolica e Bioeticista.

Il consorzio di EDiHTA comprende 16 partner da 10 Paesi europei: Belgio, Danimarca, Germania, Italia, Norvegia, Olanda, Polonia, Regno Unito, Spagna, Svizzera.
Al progetto partecipano, tra gli altri, università, agenzie di HTA, ospedali, una associazione di pazienti, una ONG specializzata in HTA, l’European Patients’ Forum e l’European Health Management Association.

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Volano i droni in Italia: nel 2023 il mercato cresce del 23%

Il mercato professionale dei droni in Italia ha registrato nel 2023 una decisa crescita, raggiungendo i 145 milioni di euro. SI tratta di un aumento del 23% rispetto all’anno precedente. Nonostante una leggera diminuzione delle imprese attive, continua la tendenza al consolidamento, con 664 aziende operanti nel settore.

Il futuro è rosa: ottime previsioni per il 2024  

L’81% degli operatori del settore prevede una forte espansione del mercato nei prossimi tre anni, e le prime stime per il 2024 confermano un trend positivo, con una stima di crescita a doppia cifra. A livello mondiale, tra il 2019 e il 2023 sono stati censiti 1.471 casi applicativi di droni, di cui il 70% riguarda le Aerial Operations e il restante 30% progetti di Innovative Air Mobility & Delivery, destinati al trasporto di merci e persone.

Sviluppo delle Aerial Operations e nuovi progetti

Nel segmento Aerial Operations, le principali applicazioni riguardano ispezioni e sopralluoghi (44%), sicurezza e sorveglianza (20%). Il 2023 ha visto una crescita del 186% nei casi operativi: si tratta di una decisa espansione e di un solido consolidamento delle applicazioni tradizionali. A livello globale, sono stati censiti 97 progetti di vertiporti per aeromobili VTOL (Vertical Take-Off and Landing), con 16 di essi previsti operativi entro il 2024. In Italia, si prevede la piena operatività del vertiporto di Roma entro fine anno, e la costruzione di quello di Venezia è in programma. Tutti e 15 gli aeroporti italiani coinvolti si sono mostrati favorevoli a mettere a disposizione le proprie infrastrutture per la realizzazione di vertiporti. Sono alcuni dei dati della ricerca dell’Osservatorio Droni e Mobilità Aerea Avanzata della School of Management del Politecnico di Milano.

Crescita esponenziale dei progetti di aeromobili eVTOL

La ricerca ha censito 480 progetti di aeromobili eVTOL a livello mondiale, con una crescita del +530% rispetto al 2020. La maggior parte è ancora in fase di prototipo (39%) o sviluppo concettuale (48%), ma l’entrata in servizio di molti di essi è prevista a partire dal 2024, secondo l’AAM Reality Index.

Come sarà il settore nel 2024?

Il 2023 è stato caratterizzato da grandi annunci, evoluzioni normative e nuove iniziative di settore. Gli esperti sottolineano che il 2024 dovrebbe essere l’anno della concretezza e della realizzazione delle promesse nel settore dronistico e della mobilità aerea avanzata. Tuttavia, la maturità delle applicazioni dei droni in Italia è ancora bassa, con solo il 13% delle imprese che può definirsi “poliedrica”, mentre oltre un’azienda su quattro è “esordiente”. 

Per quanto riguarda i progetti, il trasporto di merci rappresenta il 77% dei progetti di Innovative Air Mobility & Delivery, con un focus sulla consegna di merci generiche (54%) e di materiale sanitario (46%). Il trasporto di persone rappresenta il 23% dei casi, con progetti previsti in diverse città del mondo, tra cui Roma e Milano, a partire già dal 2024.

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La violenza di genere onlife tra gli adolescenti

Emerge dal rapporto “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere onlife in adolescenza”, realizzato da Save the Children in collaborazione con Ipsos: quasi un/una adolescente tra 14 e 18 anni su cinque (19%) dichiara di essere stato spaventato dal/lla partner con atteggiamenti violenti. Del resto, il 17% pensa che in una relazione intima sia ‘normale’ che ogni tanto scappi uno schiaffo, e per il 30% la gelosia è un segno di amore.

Il 43%, inoltre, è d’accordo con l’opinione che se davvero una ragazza non vuole avere un rapporto sessuale il modo di sottrarsi lo trova. La percentuale di chi lo dichiara è più alta tra i ragazzi (46%), ma è elevata anche tra le ragazze.
Ma in una dimensione delle relazioni sempre più onlife anche condividere la password dei social e dei dispositivi con il partner è una prova d’amore (21%).

I comportamenti di controllo

Al 26% degli adolescenti che hanno/hanno avuto una relazione è capitato che il/la partner creasse un profilo social falso per controllarlo/a. E l’11% di tutti gli intervistati dichiara che le proprie foto intime sono state condivise da altre persone senza il proprio consenso.

Il 65% ha subìto dal partner almeno un comportamento di controllo, dalla richiesta di non accettare contatti da qualcuno/a sui social (42%) a non vestirsi in un determinato modo (32%). Ma il 63% dichiara di aver praticato almeno un comportamento di controllo nei confronti di altri.
Quanto al consenso a un rapporto sessuale, il 90% ritiene necessario chiederlo sempre anche all’interno di una relazione di coppia stabile. Ma per molti questa convinzione teorica non si traduce facilmente in un comportamento.

L’intimità condivisa online 

Nella vita relazionale degli adolescenti la dimensione online e quella offline sono ormai intrecciate in modo indissolubile. Il 73% dichiara di aver stretto amicizia online con persone prima sconosciute, e il 64% di aver usato i social media per conoscere o avvicinarsi a una persona che piace.

L’ambiente digitale è parte integrante anche delle relazioni intime. Il 28% dei ragazzi e delle ragazze ha scambiato video e/o foto intime con il/la partner o con persone verso le quali aveva un interesse (40% tra chi è in una relazione).
Ma un adolescente su 10 ha condiviso, almeno una volta, foto/video intimi della persona con cui aveva una relazione senza il suo consenso, e l’11% ha subìto una condivisione di proprie foto intime senza aver dato il consenso.

La resistenza degli stereotipi 

Quanto agli stereotipi di genere, il pianto, le capacità relazionali e di cura vengono associate all’universo femminile.
Quasi il 69% degli adolescenti pensa che le ragazze siano più predisposte a piangere dei ragazzi, il 64% che siano maggiormente in grado di esprimere le proprie emozioni, il 50% di prendersi cura in modo più attento delle persone.

Il 39% dei maschi e delle femmine ritiene che le ragazze siano più inclini a sacrificarsi per il bene della relazione. E la percentuale sale al 51% tra le ragazze.

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Lavoratori introvabili: esperti in sicurezza informatica, anestesisti e colf

Lo ha scoperto Indeed, la piattaforma per chi cerca e offre lavoro, esaminando gli annunci di lavoro postati sul portale dal 1° gennaio alla fine di novembre 2023. Esperti in sicurezza IT, ma anche colf conviventi e anestesisti, sono le posizioni di più difficile reperimento.
Più del 75% degli annunci di ricerca per posizioni di Security engineer è infatti rimasto aperto per oltre 60 giorni. Simile la situazione per le ricerche di Cybersecurity engineer (72%).

Ma la classifica delle cosiddette posizioni ‘hard to fill’, ovvero quelle che rimangono scoperte per 2 mesi o più, comprende anche hair stylist e radiologi.

Cercasi disperatamente sviluppatori java

L’evoluzione tecnologica ha portato a un aumento esponenziale dei dati digitali e delle informazioni sensibili condivise online. Questo ha reso le organizzazioni più vulnerabili a cyber attacchi, hacking e furti di dati. E per proteggersi, le aziende hanno bisogno di professionisti altamente qualificati in grado di garantire la sicurezza delle loro reti e dei loro sistemi.

Di fatto, le altre posizioni legate al mondo Ict che figurano in classifica vanno dal ‘digital sales account’, in quarta posizione, al ‘firmware engineer’, settimo classificato. E poi ancora, ‘sviluppatore java’ (11°), ‘ingegnere elettronico’ (12°) e ‘sviluppatore front end’ (13°), con, rispettivamente il 59%, 58% e 55% di annunci che rimangono aperti per oltre 60 giorni.

Il potere negoziale dei professionisti IT

Dati che indicano chiaramente una forte domanda di professionisti IT nel mercato del lavoro italiano, ma che la carenza di candidati qualificati non è in grado di colmare questo divario, rendendo queste posizioni difficili da coprire.

“In un mondo sempre più digitalizzato, i ruoli legati alla sicurezza IT sono tra i più richiesti sul mercato – afferma Roberto Colarossi, senior sales director per Indeed in Italia -. Un settore che offre numerose opportunità per i professionisti attuali e futuri di costruire carriere gratificanti e durature. Senza dimenticare che i professionisti con competenze avanzate in questi settori hanno un grande potere negoziale quando si tratta di stipendi e benefici”.

Non si trovano medici

Con quasi il 68% degli annunci di lavoro che rimane scoperto per oltre 60 giorni, al quinto posto della classifica si posizionano colf conviventi, difficili da trovare quasi quanto gli hair stylist, che occupano il sesto posto (67%).
La carenza di medici su tutto il territorio nazionale poi non è una sorpresa, situazione che si riflette anche nell’analisi di Indeed. Tanto che anestesista (8°), radiologo (9°) e neurologo (10°) presentano una percentuale significativa di offerte di lavoro ancora aperte dopo 60 giorni, con rispettivamente il 62%, il 60% e il 59%, riferisce Adnkronos.

“Dall’Ict alla sanità, le competenze richieste sono sempre più specializzate e la domanda di professionisti qualificati supera spesso l’offerta – aggiunge Colarossi -. Questo sottolinea l’importanza da parte di aziende e istituzioni di investire nella formazione continua e nello sviluppo delle competenze per favorire l’incontro tra domanda e offerta”.

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Processi aziendali: esternalizzare parola d’ordine nel 2024

L’esternalizzazione dei processi nel 2024 costituisce una componente vitale della strategia aziendale. I vantaggi? Più efficienza, flessibilità, innovazione e competitività. L’esternalizzazione deve però basarsi su partnership solide, sulla gestione efficace del cambiamento e sull’apertura alle nuove opportunità del mercato globale.

Secondo We Are Fiber, esternalizzare ha un impatto importante sulle risorse umane e la loro gestione, offrendo nuove possibilità anche per quanto riguarda la riduzione dei costi. Le imprese possono infatti accedere a competenze e tecnologie nuove senza coinvolgere risorse interne.
Se alcune attività vengono delegate a fornitori esterni le imprese hanno più tempo e risorse per lo sviluppo e il perfezionamento delle competenze. 

Sostenibilità, flessibilità, scalabilità

Esternalizzare offre la possibilità di ottimizzare i processi interni, migliorare la qualità di prodotti e servizi e rafforzare la posizione sul mercato.
Ma se lo sviluppo sostenibile è diventato uno dei punti chiave dell’outsourcing contemporaneo le aziende devono anche adattarsi con grande rapidità alle fluttuazioni del mercato. E adottando i criteri della flessibilità e scalabilità, possono diminuire o aumentare le risorse a seconda delle esigenze.

Ma come regolarsi con la sicurezza dei dati?
Le norme stringenti sulla privacy obbligano le aziende a verificare che i partner esterni aderiscano a standard elevati in merito a etica del lavoro e responsabilità sociale. Sono aspetti da non trascurare, perché corrispondono anche a una buona conservazione e protezione dei dati, nel rispetto delle normative in vigore.

L’integrazione con le tecnologie e l’automazione

Nel 2024 l’integrazione tecnologica e l’automazione svolgono un ruolo principale nell’esternalizzazione.
Da parte delle aziende la tendenza è quella di affidarsi a partner esterni per implementare soluzioni tecnologiche avanzate, fra le quali, il machine learning e l’automazione dei processi robotici.

Sono tecnologie essenziali, perché possono aumentare l’efficienza e ridurre i costi, e influiscono in maniera determinante anche nel migliorare la velocità dei processi aziendali.

Le prospettive future

Se si guarda al futuro, le prospettive appaiono sempre più ampie, in quanto l’esternalizzazione continuerà a evolversi e a espandersi anche in altri campi. Specialmente con l’avanzamento delle tecnologie e con le nuove opportunità di mercato, da parte delle aziende emerge la necessità di rimanere flessibili e aperte a forme di collaborazione esterna.

L’adozione di pratiche sostenibili e responsabili, l’impegno per l’innovazione e la qualità del servizio, sono tutti elementi fondamentali per il successo a lungo termine nell’ambito dell’esternalizzazione. 

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Famiglie e inflazione: una sfida inattesa

Nel 2022 e nel 2023 risparmiatori e investitori si sono mossi senza panico, ma con tanta prudenza da sembrare paralizzati. I risparmiatori italiani, da sempre favorevoli al ‘mattone’, a non rischiare, rispettosi della Borsa, sanno di dover risparmiare di più, ma sottovalutano la differenza tra investimenti prudenti e investimenti efficienti. Stentano a prendere decisioni: non scongelano l’iceberg di liquidità, tornano verso l’investimento obbligazionario, ma più per toccare il meno possibile i portafogli che per intraprendere un nuovo viaggio.

Tuttavia, servirebbero un po’ di competenza e istruzione finanziaria, sia per i giovani e per gli adulti.
Emerge da ‘L’Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani condotta da BVA Doxa per Intesa Sanpaolo e il Centro Einaudi nel corso del 2023.

Malgrado le difficoltà l’autonomia reddituale resiste

Di fatto, il 95% delle famiglie dichiara di essere finanziariamente indipendente, in aumento rispetto al 93% del 2022, a conferma che, malgrado le difficoltà dello scenario, l’autonomia reddituale resiste.
La quota delle famiglie che riescono a risparmiare si porta sui valori massimi del pre-pandemia (54,7% vs 53,5% 2022). Sale anche la percentuale media di reddito risparmiata (12,6%, dall’11,5% del 2022).

Tra le motivazioni del risparmio, spiaccano la casa (30%) e i figli (16%). Solo il 5% degli intervistati dichiara di aver accantonato risorse per far fronte all’aumento dei prezzi. Per un terzo del campione, il risparmio è genericamente precauzionale, cioè senza un’intenzione precisa.

Per gli investitori la Borsa resta un terreno da dissodare

Tra gli investimenti finanziari salgono le obbligazioni, che raggiungono il 28% dei portafogli di chi le detiene e assorbono in parte la flessione del risparmio gestito. La Borsa resta un ‘terreno da dissodare’: vi ha operato negli ultimi 12 mesi solo il 4,2% del campione. Nell’ambito degli investimenti alternativi, dominano l’oro (interessa il 23% degli intervistati) e i fondi etici ESG (13%).

Malgrado una crescente sensibilità ai rischi, l’86% degli intervistati dichiara di non aver sottoscritto un’assicurazione per coprire le spese mediche, e il 68% non ha un’assicurazione vita.

Meglio il mattone, l’oro o i beni rifugio?

Solo il 38% è in grado di dare una definizione corretta dell’inflazione. Oltre un quarto la confonde con il livello dei prezzi, qualcuno con il deprezzamento della valuta, altri con lo scostamento dal target della Banca Centrale Europea.
A conferma di questa difficoltà di orientamento, oltre un terzo circa degli intervistati indica la detenzione di liquidità e obbligazioni a tasso fisso tra i comportamenti più idonei da tenere nel caso di inflazione. Il 30% cita invece il ‘mattone’, poco più del 10% l’oro e i ‘beni rifugio’.

A fronte del ritorno dell’inflazione, le famiglie italiane hanno avuto il buon senso di non vendere tutto per panico e continuare a risparmiare. Emerge tuttavia chiara l’esigenza di maggiore competenza e alfabetizzazione finanziaria, sia per i giovani sia per gli adulti, per poter affrontare con consapevolezza il nuovo contesto.

La qualità dell’aria a Torino

Torino, come molte altre città italiane, è interessata da problemi di inquinamento atmosferico, il che ha ovviamente un impatto sulla salute dei cittadini.

Quello della qualità dell’aria è per questo un tema sempre più importante l’opinione pubblica, prima ancora che per l’amministrazione comunale il cui dovere è quello di provvedere al benessere delle persone.

Vediamo per questo motivo in dettaglio quali sono i principali problemi di qualità dell’aria a Torino e cosa si può fare per migliorare la situazione.

Principali problemi di qualità dell’aria a Torino

Secondo i dati del sito dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente del Piemonte, circa l’80% dell’inquinamento dell’aria presente a Torino proviene dai motori delle auto e tutti quegli inquinanti prevalentemente legati alla combustione di idrocarburi.

Dunque i principali inquinanti atmosferici a Torino sono:

  • PM10: particolato atmosferico con diametro inferiore a 10 micron. Può causare problemi respiratori, cardiovascolari e neurologici.
  • NO2: biossido di azoto. Può causare problemi respiratori, cardiovascolari e oculari.
  • O3: ozono troposferico. Può causare problemi respiratori, cardiovascolari e neurologici.

Cause dell’inquinamento dell’aria a Torino

Cosa è in dettaglio a generare tutto ciò? Per rispondere a questa domanda possiamo dire che le principali cause dell’inquinamento dell’aria a Torino sono:

  • Il traffico veicolare, ovvero la principale fonte di inquinamento atmosferico a Torino.
  • Le attività industriali, le quali contribuiscono all’inquinamento atmosferico con le emissioni di PM10 e NO2.
  • Le attività agricole, che contribuiscono all’inquinamento atmosferico, anche loro con le emissioni di vario tipo tra cui anche ammoniaca.

Gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute

L’inquinamento atmosferico può avere gravi effetti sulla salute delle persone, in particolare su quelle più vulnerabili come i bambini, gli anziani e le persone con patologie respiratorie o cardiovascolari.

Gli effetti più comuni dell’inquinamento atmosferico sulla salute sono:

  • Problemi respiratori: l’inquinamento atmosferico può causare irritazione delle vie respiratorie, asma, bronchite e polmonite.
  • Problemi cardiovascolari: l’inquinamento atmosferico può aumentare il rischio di infarto, ictus e insufficienza cardiaca.
  • Problemi neurologici: l’inquinamento atmosferico può aumentare il rischio di demenza e Parkinson.
  • Problemi riproduttivi: l’inquinamento atmosferico può ridurre la fertilità e aumentare il rischio di aborto spontaneo.

Possibili soluzioni per migliorare la qualità dell’aria a Torino

Per migliorare la qualità dell’aria nel capoluogo piemontese è necessario intervenire a monte sulle cause dell’inquinamento.

Tra le possibili soluzioni si possono considerare le seguenti:

  • Ridurre l’uso del mezzo privato: è la soluzione più importante per ridurre l’inquinamento atmosferico in città. Si può intervenire incentivando l’uso dei mezzi pubblici, della bicicletta e dei mezzi di trasporto sostenibili.
  • Ridurre le emissioni industriali: le attività industriali devono adottare misure (filtri, e non solo) per ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici.
  • Ridurre le emissioni agricole: anche le attività agricole possono adottare misure mirate per ridurre le emissioni inquinanti.

Il ruolo dei cittadini nel miglioramento della qualità dell’aria

I cittadini di Torino possono svolgere un ruolo importante nel miglioramento della qualità dell’aria nel capoluogo piemontese.

Ecco cosa è possibile fare:

  • Ridurre l’uso delle auto: è la soluzione più importante per ridurre l’inquinamento atmosferico a Torino. I cittadini possono scegliere di usare i mezzi pubblici, la bicicletta o il treno quando possibile.
  • Ridurre il consumo di energia: i cittadini possono ridurre il consumo di energia limitando l’uso degli elettrodomestici, spegnere le luci quando non servono e isolare termicamente le proprie abitazioni.
  • Sostenere le energie rinnovabili: i cittadini possono considerare l’idea di far installare nuovi impianti fotovoltaici Torino su edifici e condomini per ridurre la dipendenza da fonti fossili, che sono una delle principali cause dell’inquinamento atmosferico.

Conclusione

La qualità dell’aria a Torino è una materia importante che è già all’oridne del giorno per l’amministrazione comunale, un problema importante che deve va risolto.

È necessario un impegno da parte di tutti, cittadini, istituzioni e imprese, per ottenere questo risultato e tutelare così la salute pubblica ed il benessere delle persone.

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Lavoro e imprese: previste più di 500mila assunzioni a gennaio

A gennaio 2024 le imprese ricercano più di 508mila lavoratori, circa 1,4 milioni sono previsti nel primo trimestre dell’anno. In totale, oltre 4mila assunzioni in più rispetto a gennaio 2023 (+0,9%) e +69mila (+5,3%) in riferimento all’intero primo trimestre.
I servizi alle persone guidano la domanda, con 70mila assunzioni programmate, +10,0% rispetto gennaio 2023, seguiti dal commercio (68mila, +13,7%).

Negativa, invece, è la tendenza prevista delle imprese del turismo e dell’industria manifatturiera, rispettivamente -12,1% e -2,3% rispetto a gennaio 2023. Inoltre, la difficoltà di reperimento sale al 49,2% (+3,7%).
A delineare questo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

L’industria cerca 172mila lavoratori, i servizi 336mila

Sempre a gennaio l’industria ha in programma complessivamente 172mila assunzioni (-1,1%), di cui 121mila nelle industrie manifatturiere e nelle public utility, e 51mila nelle costruzioni (+1,8%).
I servizi prevedono di assumere in totale 336mila lavoratori (+2,0%).

In generale sono le piccole (10-49 dipendenti) e le medie imprese (50-249 dipendenti) a prevedere andamenti di crescita delle assunzioni (rispettivamente +3.300 e +3.800), ma è positiva anche la previsione delle grandi imprese (oltre 250 dipendenti), con +1.900 assunzioni.
Al contrario, le micro imprese (1-9 dipendenti) prevedono una flessione pari a circa -4.500 assunzioni rispetto allo stesso periodo del 2023.

I più difficili da reperire sono i farmacisti   

Quanto al mismatch tra domanda e offerta interessa il 49,2% (250mila) delle assunzioni, soprattutto a causa della mancanza di candidati (31,1%), e della preparazione inadeguata (14,3%).

Dal Borsino delle professioni sono difficili da reperire il 91,4% di farmacisti, biologi e altri specialisti nelle scienze della vita, seguiti da operai addetti a macchinari dell’industria tessile e delle confezioni (72,8%), fonditori, saldatori, montatori di carpenteria metallica (72,6%), addetti alle rifiniture delle costruzioni (71,8%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (70,6%).

In crescita i contratti a tempo indeterminato

I contratti a tempo determinato si confermano la forma maggiormente proposta, con circa 206mila unità (40,5% del totale), sebbene in calo rispetto a un anno fa (41,3%). In crescita invece i contratti a tempo indeterminato, che passano dai 122mila di gennaio 2023 agli attuali 129mila (+7mila, +5,7%). 

Con riferimento ai livelli di istruzione, il 19% delle ricerche di personale è rivolto a laureati (97mila), il 30% a diplomati (155mila) e il 32% a chi è in possesso di una qualifica/diploma professionale (163mila).
Inoltre, per oltre 91mila assunzioni (18,1%) le imprese pensano di rivolgersi a lavoratori immigrati, soprattutto nei settori servizi operativi (30,8%), logistica (29,1%), servizi di alloggio, ristorazione, turismo (24,4%), costruzioni (21,0%) e industrie alimentari, bevande e tabacco (20,6%).

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COP28: qual è l’impegno delle imprese italiane per il net-zero?

Ipsos e il Network italiano del Global Compact delle Nazioni Unite (UNGC) hanno condotto una ricerca dal titolo ‘L’impegno delle aziende italiane per il net-zero’, presentata in occasione della COP28 di Dubai.

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici è terminata con il raggiungimento di un accordo che prevede la transizione verso l’addio ai combustibili fossili entro il 2050. Ma a quanto rileva la ricerca realizzata da Ipsos e UNGC solo un’impresa italiana su cinque dichiara di avere adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico, e di avere fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti.

L’UN Global Compact

La ricerca registra una coerenza fra i dati delle aziende che calcolano le emissioni e di quelle che hanno fissato obiettivi net-zero.
Fra le aziende non aderenti allo UN Global Compact (il Patto dell’ONU per incoraggiare le aziende ad adottare politiche ESG) il 17% delle imprese intervistate ha comunque definito obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Di queste, solo un’azienda su dieci è impegnata sul target net-zero o intende farlo da qui a due anni.

Se si guarda, invece, al cluster delle imprese partecipanti al progetto dell’ONU, la percentuale delle aziende con obiettivi di riduzione delle emissioni sale al 58%, portandosi dietro anche il dato molto positivo delle otto imprese su dieci che hanno definito target net-zero, o hanno in programma di farlo nel prossimo biennio.

I freni all’impegno sono soprattutto economici

Significativo il dato che emerge dalla ricerca rispetto ai freni all’impegno ambientale.
Per il 34% delle aziende si tratta di limiti economici che non consentono di fare investimenti adeguati, per il 27% di freni burocratici, e per un altro 27% pesa la mancanza di figure professionali competenti.

Quanto alle risorse umane dedicate alla definizione di obiettivi di riduzione tra le aziende che non hanno sottoposto i propri target a validazione, nel 34% dei casi oggi è presente una persona o un team che se ne occupa, mentre il 41% preferisce affidarsi a consulenti esterni.

Moda, food, utilities i settori più informati

Rispetto alla conoscenza del tema ambientale nei vari settori i livelli di conoscenza maggiori si riscontrano nella moda, nel food e nelle utilities.
In alcuni settori, come quello delle costruzioni, ad alto impatto in termini di emissioni, le conoscenze sono piuttosto sommarie e poco diffuse.

Automotive e utilities risultano invece più consapevoli del valore in termini di competitività e reputazione per l’adozione di comportamenti sostenibili.
Per quanto riguarda impegno e iniziative ambientali, è sempre il settore delle utilities a essere impegnato in modo più strutturato, sia tramite iniziative di contrasto al cambiamento climatico sia di sensibilizzazione interna all’azienda.
Il retail, al contrario, risulta il settore più indietro rispetto alle iniziative.

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Credito al consumo: nel weekend del Black Friday +8% di richieste

Nel corso del fine settimana del Black Friday e del Cyber Monday, dal 24 al 27 novembre scorsi, la domanda di credito al consumo è aumentata del +8% rispetto alla media del mese precedente.
Inoltre, le richieste di Buy now, pay later (le richieste di finanziamento effettuate e gestite tramite canali digitali) e quelle di dilazioni di pagamento (la formula di finanziamento che si effettua presso retailer convenzionati) hanno registrato gli incrementi maggiori.

A trainare la crescita sono i giovani della Gen Z, i nati dopo il 1996, e i Millennials, i nati dopo il 1981.
È quanto emerge da uno studio CRIF, effettuato sul patrimonio informativo di EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF – Centrale Rischi Finanziari.

Una crescita guidata da Gen Z e Millennials

In particolare, CRIF registra complessivamente un +74% per quanto riguarda le richieste di Buy now, pay later, e un +52% per le Dilazioni di pagamento.
Quanto all’età del richiedente, l’analisi evidenzia come la crescita della domanda nel periodo Black Friday rispetto al precedente periodo di ottobre-novembre sia guidata dai Gen Z e dai Millennials.

Infatti, “l’incidenza di queste generazioni più giovani è aumentata nel Black Friday rispetto alle settimane immediatamente precedenti, in particolare per quanto riguarda gli strumenti di credito innovativi, dove i nati dopo il 1981 sono quasi i due terzi dei richiedenti e segnano un +72% delle richieste di ‘Buy now, pay later’ e dilazioni di pagamento”, spiega Simone Capecchi, Executive Director di CRIF.

Le dilazioni di pagamento registrano un’impennata del +95%

“Va comunque segnalato che la penetrazione di queste forme più innovative di credito aumenta anche per le generazioni più anziane, i nati prima degli anni ’80, a conferma di un cambiamento delle abitudini di pagamento che influenza tutte le fasce di età”, aggiunge Capecchi.
Se si guarda al confronto tra il periodo del Black Friday di quest’anno rispetto al 2022 emerge complessivamente un aumento limitato della domanda di credito al consumo (+2%), trainato proprio dalle nuove forme di finanziamento. Le dilazioni di pagamento registrano infatti una impennata del +95%.

Prestiti finalizzati -17%, Prestiti Personali +32%

Per le forme di finanziamento più tradizionali, come i Prestiti Finalizzati, ma non per l’auto, si riscontra un considerevole calo: -17% rispetto al Black Friday 2022. I Prestiti Personali, al contrario, registrano una ripresa significativa: +32% rispetto al periodo precedente.
L’analisi CRIF ha anche indagato l’andamento della domanda di credito al consumo a livello di area geografica.

In questo caso, le richieste di credito nel periodo del Black Friday sono aumentate in particolare in Emilia-Romagna, Campania e Friuli–Venezia Giulia.