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Volano i droni in Italia: nel 2023 il mercato cresce del 23%

Il mercato professionale dei droni in Italia ha registrato nel 2023 una decisa crescita, raggiungendo i 145 milioni di euro. SI tratta di un aumento del 23% rispetto all’anno precedente. Nonostante una leggera diminuzione delle imprese attive, continua la tendenza al consolidamento, con 664 aziende operanti nel settore.

Il futuro è rosa: ottime previsioni per il 2024  

L’81% degli operatori del settore prevede una forte espansione del mercato nei prossimi tre anni, e le prime stime per il 2024 confermano un trend positivo, con una stima di crescita a doppia cifra. A livello mondiale, tra il 2019 e il 2023 sono stati censiti 1.471 casi applicativi di droni, di cui il 70% riguarda le Aerial Operations e il restante 30% progetti di Innovative Air Mobility & Delivery, destinati al trasporto di merci e persone.

Sviluppo delle Aerial Operations e nuovi progetti

Nel segmento Aerial Operations, le principali applicazioni riguardano ispezioni e sopralluoghi (44%), sicurezza e sorveglianza (20%). Il 2023 ha visto una crescita del 186% nei casi operativi: si tratta di una decisa espansione e di un solido consolidamento delle applicazioni tradizionali. A livello globale, sono stati censiti 97 progetti di vertiporti per aeromobili VTOL (Vertical Take-Off and Landing), con 16 di essi previsti operativi entro il 2024. In Italia, si prevede la piena operatività del vertiporto di Roma entro fine anno, e la costruzione di quello di Venezia è in programma. Tutti e 15 gli aeroporti italiani coinvolti si sono mostrati favorevoli a mettere a disposizione le proprie infrastrutture per la realizzazione di vertiporti. Sono alcuni dei dati della ricerca dell’Osservatorio Droni e Mobilità Aerea Avanzata della School of Management del Politecnico di Milano.

Crescita esponenziale dei progetti di aeromobili eVTOL

La ricerca ha censito 480 progetti di aeromobili eVTOL a livello mondiale, con una crescita del +530% rispetto al 2020. La maggior parte è ancora in fase di prototipo (39%) o sviluppo concettuale (48%), ma l’entrata in servizio di molti di essi è prevista a partire dal 2024, secondo l’AAM Reality Index.

Come sarà il settore nel 2024?

Il 2023 è stato caratterizzato da grandi annunci, evoluzioni normative e nuove iniziative di settore. Gli esperti sottolineano che il 2024 dovrebbe essere l’anno della concretezza e della realizzazione delle promesse nel settore dronistico e della mobilità aerea avanzata. Tuttavia, la maturità delle applicazioni dei droni in Italia è ancora bassa, con solo il 13% delle imprese che può definirsi “poliedrica”, mentre oltre un’azienda su quattro è “esordiente”. 

Per quanto riguarda i progetti, il trasporto di merci rappresenta il 77% dei progetti di Innovative Air Mobility & Delivery, con un focus sulla consegna di merci generiche (54%) e di materiale sanitario (46%). Il trasporto di persone rappresenta il 23% dei casi, con progetti previsti in diverse città del mondo, tra cui Roma e Milano, a partire già dal 2024.

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Processi aziendali: esternalizzare parola d’ordine nel 2024

L’esternalizzazione dei processi nel 2024 costituisce una componente vitale della strategia aziendale. I vantaggi? Più efficienza, flessibilità, innovazione e competitività. L’esternalizzazione deve però basarsi su partnership solide, sulla gestione efficace del cambiamento e sull’apertura alle nuove opportunità del mercato globale.

Secondo We Are Fiber, esternalizzare ha un impatto importante sulle risorse umane e la loro gestione, offrendo nuove possibilità anche per quanto riguarda la riduzione dei costi. Le imprese possono infatti accedere a competenze e tecnologie nuove senza coinvolgere risorse interne.
Se alcune attività vengono delegate a fornitori esterni le imprese hanno più tempo e risorse per lo sviluppo e il perfezionamento delle competenze. 

Sostenibilità, flessibilità, scalabilità

Esternalizzare offre la possibilità di ottimizzare i processi interni, migliorare la qualità di prodotti e servizi e rafforzare la posizione sul mercato.
Ma se lo sviluppo sostenibile è diventato uno dei punti chiave dell’outsourcing contemporaneo le aziende devono anche adattarsi con grande rapidità alle fluttuazioni del mercato. E adottando i criteri della flessibilità e scalabilità, possono diminuire o aumentare le risorse a seconda delle esigenze.

Ma come regolarsi con la sicurezza dei dati?
Le norme stringenti sulla privacy obbligano le aziende a verificare che i partner esterni aderiscano a standard elevati in merito a etica del lavoro e responsabilità sociale. Sono aspetti da non trascurare, perché corrispondono anche a una buona conservazione e protezione dei dati, nel rispetto delle normative in vigore.

L’integrazione con le tecnologie e l’automazione

Nel 2024 l’integrazione tecnologica e l’automazione svolgono un ruolo principale nell’esternalizzazione.
Da parte delle aziende la tendenza è quella di affidarsi a partner esterni per implementare soluzioni tecnologiche avanzate, fra le quali, il machine learning e l’automazione dei processi robotici.

Sono tecnologie essenziali, perché possono aumentare l’efficienza e ridurre i costi, e influiscono in maniera determinante anche nel migliorare la velocità dei processi aziendali.

Le prospettive future

Se si guarda al futuro, le prospettive appaiono sempre più ampie, in quanto l’esternalizzazione continuerà a evolversi e a espandersi anche in altri campi. Specialmente con l’avanzamento delle tecnologie e con le nuove opportunità di mercato, da parte delle aziende emerge la necessità di rimanere flessibili e aperte a forme di collaborazione esterna.

L’adozione di pratiche sostenibili e responsabili, l’impegno per l’innovazione e la qualità del servizio, sono tutti elementi fondamentali per il successo a lungo termine nell’ambito dell’esternalizzazione. 

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Lavoro e imprese: previste più di 500mila assunzioni a gennaio

A gennaio 2024 le imprese ricercano più di 508mila lavoratori, circa 1,4 milioni sono previsti nel primo trimestre dell’anno. In totale, oltre 4mila assunzioni in più rispetto a gennaio 2023 (+0,9%) e +69mila (+5,3%) in riferimento all’intero primo trimestre.
I servizi alle persone guidano la domanda, con 70mila assunzioni programmate, +10,0% rispetto gennaio 2023, seguiti dal commercio (68mila, +13,7%).

Negativa, invece, è la tendenza prevista delle imprese del turismo e dell’industria manifatturiera, rispettivamente -12,1% e -2,3% rispetto a gennaio 2023. Inoltre, la difficoltà di reperimento sale al 49,2% (+3,7%).
A delineare questo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

L’industria cerca 172mila lavoratori, i servizi 336mila

Sempre a gennaio l’industria ha in programma complessivamente 172mila assunzioni (-1,1%), di cui 121mila nelle industrie manifatturiere e nelle public utility, e 51mila nelle costruzioni (+1,8%).
I servizi prevedono di assumere in totale 336mila lavoratori (+2,0%).

In generale sono le piccole (10-49 dipendenti) e le medie imprese (50-249 dipendenti) a prevedere andamenti di crescita delle assunzioni (rispettivamente +3.300 e +3.800), ma è positiva anche la previsione delle grandi imprese (oltre 250 dipendenti), con +1.900 assunzioni.
Al contrario, le micro imprese (1-9 dipendenti) prevedono una flessione pari a circa -4.500 assunzioni rispetto allo stesso periodo del 2023.

I più difficili da reperire sono i farmacisti   

Quanto al mismatch tra domanda e offerta interessa il 49,2% (250mila) delle assunzioni, soprattutto a causa della mancanza di candidati (31,1%), e della preparazione inadeguata (14,3%).

Dal Borsino delle professioni sono difficili da reperire il 91,4% di farmacisti, biologi e altri specialisti nelle scienze della vita, seguiti da operai addetti a macchinari dell’industria tessile e delle confezioni (72,8%), fonditori, saldatori, montatori di carpenteria metallica (72,6%), addetti alle rifiniture delle costruzioni (71,8%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (70,6%).

In crescita i contratti a tempo indeterminato

I contratti a tempo determinato si confermano la forma maggiormente proposta, con circa 206mila unità (40,5% del totale), sebbene in calo rispetto a un anno fa (41,3%). In crescita invece i contratti a tempo indeterminato, che passano dai 122mila di gennaio 2023 agli attuali 129mila (+7mila, +5,7%). 

Con riferimento ai livelli di istruzione, il 19% delle ricerche di personale è rivolto a laureati (97mila), il 30% a diplomati (155mila) e il 32% a chi è in possesso di una qualifica/diploma professionale (163mila).
Inoltre, per oltre 91mila assunzioni (18,1%) le imprese pensano di rivolgersi a lavoratori immigrati, soprattutto nei settori servizi operativi (30,8%), logistica (29,1%), servizi di alloggio, ristorazione, turismo (24,4%), costruzioni (21,0%) e industrie alimentari, bevande e tabacco (20,6%).

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COP28: qual è l’impegno delle imprese italiane per il net-zero?

Ipsos e il Network italiano del Global Compact delle Nazioni Unite (UNGC) hanno condotto una ricerca dal titolo ‘L’impegno delle aziende italiane per il net-zero’, presentata in occasione della COP28 di Dubai.

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici è terminata con il raggiungimento di un accordo che prevede la transizione verso l’addio ai combustibili fossili entro il 2050. Ma a quanto rileva la ricerca realizzata da Ipsos e UNGC solo un’impresa italiana su cinque dichiara di avere adottato un piano per contrastare il cambiamento climatico, e di avere fissato obiettivi di riduzione delle proprie emissioni di gas climalteranti.

L’UN Global Compact

La ricerca registra una coerenza fra i dati delle aziende che calcolano le emissioni e di quelle che hanno fissato obiettivi net-zero.
Fra le aziende non aderenti allo UN Global Compact (il Patto dell’ONU per incoraggiare le aziende ad adottare politiche ESG) il 17% delle imprese intervistate ha comunque definito obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Di queste, solo un’azienda su dieci è impegnata sul target net-zero o intende farlo da qui a due anni.

Se si guarda, invece, al cluster delle imprese partecipanti al progetto dell’ONU, la percentuale delle aziende con obiettivi di riduzione delle emissioni sale al 58%, portandosi dietro anche il dato molto positivo delle otto imprese su dieci che hanno definito target net-zero, o hanno in programma di farlo nel prossimo biennio.

I freni all’impegno sono soprattutto economici

Significativo il dato che emerge dalla ricerca rispetto ai freni all’impegno ambientale.
Per il 34% delle aziende si tratta di limiti economici che non consentono di fare investimenti adeguati, per il 27% di freni burocratici, e per un altro 27% pesa la mancanza di figure professionali competenti.

Quanto alle risorse umane dedicate alla definizione di obiettivi di riduzione tra le aziende che non hanno sottoposto i propri target a validazione, nel 34% dei casi oggi è presente una persona o un team che se ne occupa, mentre il 41% preferisce affidarsi a consulenti esterni.

Moda, food, utilities i settori più informati

Rispetto alla conoscenza del tema ambientale nei vari settori i livelli di conoscenza maggiori si riscontrano nella moda, nel food e nelle utilities.
In alcuni settori, come quello delle costruzioni, ad alto impatto in termini di emissioni, le conoscenze sono piuttosto sommarie e poco diffuse.

Automotive e utilities risultano invece più consapevoli del valore in termini di competitività e reputazione per l’adozione di comportamenti sostenibili.
Per quanto riguarda impegno e iniziative ambientali, è sempre il settore delle utilities a essere impegnato in modo più strutturato, sia tramite iniziative di contrasto al cambiamento climatico sia di sensibilizzazione interna all’azienda.
Il retail, al contrario, risulta il settore più indietro rispetto alle iniziative.

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Gli italiani con un conto connesso aumentano del 30% 


Secondo i dati dell’ultimo Market Outlook di CRIF, la crescita dell’adozione dell’Open Banking in Italia continua anche nel primo semestre 2023.

Il numero di utenti che connettono almeno un conto corrente aumenta del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e il tasso di successo da parte dei consumatori digitali segna un +6,2%.
Banca d’Italia stima che nel 2022 il numero di utenti attivi nel sistema di Open Banking è stato di circa 1 milione, con proiezioni di crescita che vedono raggiungere i 10 milioni entro il 2025.
L’analisi di CRIF evidenzia un marcato spostamento della distribuzione anagrafica degli utenti verso classi più anziane.

Non solo giovani: anche Boomers e Generazione X utilizzano i servizi finanziari digitali

Un 6% della popolazione che utilizza l’Open Banking si è spostato infatti dalla Generazione Z alle generazioni successive, a testimonianza dell’evoluzione culturale che vede anche Boomers e Generazione X avere sempre più confidenza con i servizi finanziari digitali.

Rimangono però le generazioni più giovani quelle che trainano la diffusione dell’Open Banking, sia in termini di tasso di consenso sia di successo.
Infatti, i ‘New to Credit’, tipicamente più giovani, fanno registrare un tasso di consenso maggiore del 20% rispetto agli ‘Active to Credit’. Inoltre, sono i più giovani a far registrare un maggiore incremento del tasso di consenso anno su anno.

Transazioni più frequenti per cibo e spese giornaliere

Per quanto riguarda la distribuzione delle transazioni di Open banking, quelle effettuate per cibo e spese giornaliere sono le più frequenti, anche se, complessivamente, cala leggermente la loro incidenza sul totale a favore di Shopping, Hobby e tempo libero, Tasse e bollette.
Emergono inoltre sostanziali differenze tra i clienti titolari di mutuo a tasso fisso e mutuo a tasso variabile.

Infatti, i titolari di mutuo a tasso variabile, che sono stati maggiormente impattati dall’aumento dei tassi di interesse, hanno fatto registrare una disponibilità media prossima allo zero, a differenza dei titolari di mutuo a tasso fisso.

Il Payments Package normativo della UE

Per l’Open Banking una svolta significativa è data dall’evoluzione del panorama normativo.
La Commissione Europea ha presentato un pacchetto di nuove misure, collettivamente note come Payments Package, che comprendono una proposta di direttiva c.d. PSD3 che aggiorna in parte l’attuale PSD2, una proposta di regolamento (PSR) che disciplina i servizi di pagamento, in senso ampio, includendo una sezione dedicata ad Open Banking, e una proposta di regolamento (FIDA) per istituire un framework per accesso a dati finanziari (non solo bancari/transazionali) c.d. Open Finance, con ruoli, regole e schemi per il data sharing.

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TFR: per le Pmi la rivalutazione ha un costo aggiuntivo di 6 miliardi

Il boom dell’inflazione ha causato anche una forte rivalutazione del Trattamento di Fine Rapporto, che quest’anno alle imprese con meno di 50 dipendenti potrebbe costare mediamente 1.500 euro in più a dipendente. Un extracosto stimato dall’Ufficio studi della CGIA in almeno 6 miliardi.

I dipendenti delle piccole imprese hanno la possibilità di trasferire il proprio TFR in un fondo di previdenza complementare, oppure di lasciarlo in azienda, ipotesi, quest’ultima, scelta da buona parte dei dipendenti.
Ogni anno, pertanto, come previsto dalla legge l’ammontare del TFR accantonato viene rivalutato dell’1,5%, a cui si aggiunge il 75% della variazione dell’inflazione conseguita a dicembre rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

I calcoli dell’extracosto per anzianità

Pertanto, l’Ufficio studi della CGIA ipotizza che per un lavoratore che timbra il cartellino da 5 anni presso la stessa azienda la rivalutazione del suo TFR provocherà nel bilancio 2023 un incremento dei costi pari a 593 euro rispetto a quanto è stato riconosciuto nel periodo che va dalla sua assunzione fino al 2020.

Se, invece, l’anzianità lavorativa è di 10 anni, l’aggravio è di 1.375 euro, con 15 anni di servizio, 2.003 euro, e se il dipendente varca le porte dell’azienda da 20 anni l’extracosto tocca 2.594 euro
Tendenzialmente, i lavoratori dipendenti delle piccole imprese hanno un’anzianità di servizio più contenuta dei colleghi occupati nelle realtà più grandi, che in virtù della corresponsione di retribuzioni più ‘pesanti’ presentano un turn-over meno accentuato.

Una stangata da brividi

Il numero dei lavoratori dipendenti delle piccole aziende che hanno trasferito il TFR nei fondi pensione è contenutissimo.
Ipotizzando che quanti hanno scelto di non trasferirlo in un fondo pensione complementare siano 4,3 milioni (66% circa) e abbiano un’anzianità di servizio media stimata di 10 anni, la variazione della rivalutazione del TFR è stata stimata ad almeno 6 miliardi.

Insomma, per il milione e mezzo di imprese con meno di 50 addetti la fiammata inflazionistica avrebbe comportato, in materia di TFR, una stangata da brividi, che sommata agli effetti riconducibili all’aumento dei tassi di interesse ha messo in difficoltà la gran parte del sistema produttivo del nostro Paese.

Piccole imprese del Sud più penalizzate

In mancanza dei dati riferiti al numero di lavoratori dipendenti occupati nelle imprese con meno di 50 addetti, che hanno deciso di trasferire il proprio TFR nei fondi pensione, si può ipotizzare che le realtà imprenditoriali finanziariamente più colpite siano quelle ubicate nei territori dove il peso delle piccole aziende in termini di addetti è maggiore.

Pertanto, la situazione più critica dovrebbe aver interessato il Mezzogiorno, in particolare Vibo Valentia, dove il 91% delle imprese con dipendenti presenti in provincia ha meno di 50 addetti.
Seguono Trapani (89,3%), Agrigento (88,7%), Nuoro (88,3%), Campobasso (86,1%), Prato (85,7%), Grosseto (85,6%), Cosenza (85,1%), Imperia (84,7%) e Barletta-Andria-Trani (84,3%). 

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Bio Made in Italy, quali opportunità di crescita sui mercati esteri?

Qual è lo stato dell’arte del settore bio in Italia? E quali possono essere le possibilità di sviluppo e di espansione? Per avere i dati certi bisognerà aspettare la quinta edizione di Rivoluzione Bio, un evento previsto all’interno di SANA 2023, il 35° Salone Internazionale del biologico e del naturale. In quell’occasione, infatti, Nomisma presenterà i risultati del monitoraggio sui mercati internazionali realizzato nell’ambito del progetto ITA.BIO, la piattaforma per l’internazionalizzazione del biologico Made in Italy promossa da ICE Agenzia e FederBio. Intanto, Nomina ha reso disponibili alcune indicazioni sulle opportunità di crescita sui mercati internazionali del bio Made in Italy.

Le vendite sui mercati internazionali hanno toccato i 3,4 miliardi di euro

Il monitoraggio dell’andamento del biologico sui mercati internazionali è possibile grazie all’Osservatorio SANA di Nomisma, che ha una partnership con ICE Agenzia. Nel 2022, le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto i 3,4 miliardi di euro, con un incremento del 16% rispetto al 2021. Questa crescita testimonia il riconoscimento del bio Made in Italy anche all’estero, con un valore quasi triplicato rispetto al 2012. Delle esportazioni, l’81% riguarda il food, con un aumento del 16% rispetto all’anno precedente. Il vino gioca un ruolo significativo rappresentando il restante 19% dell’export bio, una quota maggiore rispetto all’export agroalimentare in generale, dove l’incidenza del vino si ferma al 13%.

Le principali destinazioni europee del food bio

Le principali destinazioni europee per il food italiano bio sono la Germania (indicata dal 63% delle aziende), la Francia e il Benelux. Per quanto riguarda il vino, il mercato tedesco è ancora il più rilevante, seguito dai Paesi Scandinavi e dal Benelux. Al di fuori dell’Unione Europea, i principali mercati per il food e il vino sono Svizzera, Stati Uniti e Regno Unito.

Un’ottima reputazione

Il bio italiano gode di un’ottima reputazione sui mercati internazionali grazie alla qualità dei prodotti, citata come fattore di successo dal 66% delle aziende. Anche l’interesse generale del consumatore straniero per il Made in Italy è considerato un elemento di successo (60%). Inoltre, l’equivalenza del marchio bio europeo, l’elevata spesa pro-capite per i prodotti biologici e le garanzie associate ai prodotti agroalimentari bio contribuiscono al successo delle esportazioni. Tuttavia, ci sono ostacoli da superare, tra cui i costi legati alle attività di promozione sui mercati internazionali, le normative e la burocrazia locali, nonché la concorrenza di prezzo da parte delle imprese locali.

Azioni mirate per migliorare il posizionamento del bio italiano

Per migliorare il posizionamento del bio italiano all’estero, sono necessarie azioni mirate. È essenziale informare meglio il consumatore internazionale riguardo alle caratteristiche e alle garanzie che il bio offre. Attualmente, circa il 70% dei consumatori dei principali mercati target per il bio (Stati Uniti, Cina, Canada, Emirati Arabi, Scandinavia, Giappone e Messico) dichiara di non avere informazioni sufficienti e dettagliate sugli alimenti biologici. Inoltre, l’opportunità di conoscere i prodotti tramite assaggi o materiali nella grande distribuzione o presso i ristoranti può avvicinare il bio Made in Italy al consumatore straniero, soprattutto in Messico, Cina e Giappone. Secondo le aziende italiane, le azioni più efficaci per supportare lo sviluppo del bio nei prossimi anni dovrebbero mirare a stimolare la domanda e la fiducia dei consumatori, chiarire il contributo dell’agricoltura biologica alla sostenibilità e sostenere l’offerta e quindi la conversione e la produzione.

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Per le aziende gli oceani sono una risorsa economica da preservare

A marzo 2023 le Nazioni Unite hanno concordato un trattato per proteggere gli oceani e riparare la natura marina, l’High Seas Treaty. Anche le aziende iniziano a capire che gli oceani sono una risorsa, oltre che da preservare, anche di business, e le proprie azioni hanno un impatto sulla salute dell’oro blu. La terza edizione del report ‘Business for Ocean Sustainability’, sviluppato da One Ocean Foundation in collaborazione con SDA Bocconi, McKinsey & Company e CSIC (Consiglio Nazionale delle Ricerche spagnolo), si concentra sul concetto di Blue Natural Capital come principio guida di una Ocean Economy a favore della natura.

Come agiscono le aziende

Di fatto, ogni euro investito nella ricostituzione della vita marina ne genera 10 di ritorno. Si stima che l’Ocean Economy generi ogni anno 5,2 trilioni di dollari, ma le aziende sono responsabili per la pressione diretta e indiretta esercitata sugli oceani. È quindi fondamentale diffondere tale consapevolezza per poter raggiungere un uso sostenibile degli oceani. Secondo il Report il 52% delle aziende oggi è consapevole della pressione sull’ecosistema marino, e molte hanno cominciato ad agire per mitigare tale pressione. Se però si considera il punteggio medio di attivazione per azienda, che misura il numero di azioni con effetto positivo sull’oceano, rimane al 20%, con grandi differenze tra i settori. Inoltre, la maggior parte sta agendo con misure che vanno a beneficio degli oceani solo in modo indiretto. Poche hanno attivato azioni rivolte direttamente alla conservazione e alla sostenibilità degli oceani.

SDG14 Life Below Water: un SDG meno prioritario

Tra le aziende che agiscono più miratamente, il 50% ha una prospettiva basata sulla mitigazione del rischio, il 35% su mitigazione del rischio e sul concetto di opportunità, e solo il 15% è focalizzato sulle opportunità di business. Ma a fronte di una crescente consapevolezza dell’importanza sociale, ambientale ed economica degli oceani, il criterio SDG14 ‘Life Below Water’, un indicatore del livello di attenzione che le imprese prestano a questi temi, rimane uno degli SDG considerato meno prioritario. Il 76% delle aziende si è impegnato su almeno 1 dei 17 criteri SDG, a fronte del 60% del 2019, ma SDG14 è incluso solo dal 9% delle aziende, che si focalizzano soprattutto su SDG5 ‘Gender Equality’ e SDG13 ‘Climate Action’. 

I settori più attenti

Di contro, il numero delle aziende impegnate nell’SDG14 è cresciuto dal 6% del 2017 al 9% del 2021.
Il Report sottolinea come le aziende che operano nell’Ocean Economy siano più attente. Il 32% di loro include SDG14 nei propri report di sostenibilità, a seguire, le imprese del settore tessile e abbigliamento, con il 24%, e quelle dei Servizi pubblici & Generazione di energia elettrica e Agrifood, con il 13%.
Quindi, se lo studio evidenzia una crescente consapevolezza rimane comunque diffusa una scarsa coscienza delle pressioni dirette e indirette che l’industria esercita sui mari, specialmente nei settori non direttamente operanti nell’Ocean Economy.

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Mercato immobiliare e mutui: un primo bimestre in discesa

È stato reso noto dal Consiglio Nazionale del Notariato sulla base delle rilevazioni effettuate attraverso i Dati statistici Notarili (DSN): nei primi due mesi del 2023, a Roma, Milano, Napoli, Bari, Bologna, Torino, Palermo, Verona e Firenze le richieste di mutuo risultano in discesa, mentre il ‘calo’ delle compravendite di fabbricati abitativi è più diversificato sul territorio. La ricognizione del mercato immobiliare italiano effettuata dal Notariato sul primo bimestre dell’anno ha considerato 9 grandi città italiane in merito a mutui, surroghe, e compravendite di fabbricati abitativi.

Compravendite: a febbraio in calo tranne a Torino 

Sebbene a livello nazionale il calo delle compravendite sia del 2,7%, province come Bari, Bologna, Torino e Palermo mostrano valori in controtendenza, attestandosi a variazioni positive rispetto al primo bimestre 2022. Dai dati positivi di Torino (+3,26%), Bologna (+2,88%), Bari (+1,14%) e Palermo (+2,11%) si passa al calo di centri importanti come Milano (-3,74%), Verona (-1,45%), Roma (-2,09%), Firenze (-5,28%), Napoli (-14,9%). Nel mese di febbraio 2023 in tutte le città si registra comunque un calo delle compravendite, tranne a Torino, dove le transazioni sono addirittura maggiori rispetto a gennaio.

Mutui: Milano -21,04%, Roma -20%

A Milano nel primo bimestre 2023 si è registrato un calo del 3,74% del mercato immobiliare rispetto allo stesso periodo del 2022. Tutti i segmenti sono coinvolti, -11,84% prime case tra privati, -29% prime case da impresa, -10,04% seconde case tra privati, -8,33% seconde case da impresa.
Ancora più forte è il calo dei mutui: -21,04% rispetto allo stesso periodo del 2022. E si registra un calo anche nelle surroghe di circa il -17,5%. A Roma, il calo delle compravendite è del 2,09%, mentre per il segmento prime case tra privati si attesta a -3,89%, e per quelle acquistate dal costruttore addirittura a -27,38%. Resta invece positivo il dato totale delle transazioni per le ‘seconde case’ (+7.05% da privati, +4,75% da costruttore). Il calo dei mutui è poi pari a -20%, e le surroghe sono scese del 12,64%. Dopo una leggera diminuzione a gennaio 2023 (-1.56%), a partire da febbraio crollano a -23,31%.

Stime per l’anno in corso: mercato a -10,7%

Data la disponibilità della serie storica dei Dati Statistici Notarili dal 2017 al 2022, sono state inoltre fatte stime tendenziali sull’andamento del mercato immobiliare nel 2023. Sono previsioni basate su analisi e modelli matematici di dati che potrebbero non tenere conto di incertezze e variazioni impreviste, fornendo indicazioni e andamenti di sviluppo nelle aree di interesse. Nello specifico, ci si è posti l’obiettivo di misurare il trend nelle transazioni di compravendite di beni immobili e sui mutui erogati. Per il 2023, sulla base dello studio statistico a cura del Consiglio Nazionale del Notariato, ci si aspetta un calo del mercato del 10,7% rispetto al 2022. La riduzione è generalizzata su prime e seconde case, sia da acquisto tra privati sia da impresa, anche se i dati specifici evidenziano importanti differenze.

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Superbonus e bonus edilizi: dall’Agenzia delle Entrate novità per ripartire i crediti

Dal prossimo 2 maggio nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate sarà disponibile una nuova funzionalità per superbonus, sismabonus e bonus barriere architettoniche. All’interno della Piattaforma cessione crediti i soggetti titolari di crediti da bonus edilizi (imprese edilizie, banche e altri cessionari) possono infatti comunicare se decidere di ripartire in 10 anni i crediti non ancora utilizzati per i quali è stata comunicata la prima opzione entro lo scorso 31 marzo. La comunicazione potrà riguardare anche solo una parte della rata del credito disponibile. Con successive comunicazioni potranno essere infatti rateizzati sia la restante parte della rata sia eventuali altri crediti acquisiti nel frattempo. 

Fornitori e cessionari potranno diluire i crediti

Sono alcune novità contenute nel provvedimento in attuazione delle ultime modifiche normative in materia, che fornisce le istruzioni ai fornitori e ai cessionari che intendono usufruire di questa possibilità. La possibilità di diluire i crediti in 10 anni si applica a quelli relativi a interventi agevolati derivanti dalle opzioni per la prima cessione, o per lo sconto in fattura, comunicate all’Agenzia entro il 31 marzo di quest’anno. Il provvedimento specifica che la quota residua di ciascuna rata annuale dei crediti d’imposta, anche acquisita a seguito di cessioni successive alla prima opzione, e non utilizzata in compensazione, può essere ripartita in 10 rate annuali di pari importo.

Opzioni per la prima cessione o lo sconto in fattura

In particolare, la nuova ripartizione per il superbonus può essere effettuata per la quota residua delle rate dei crediti riferite agli anni 2022 e seguenti per i crediti derivanti dalle comunicazioni delle opzioni per la prima cessione o lo sconto in fattura inviate all’Agenzia delle Entrate fino al 31 ottobre 2022, e agli anni 2023 e seguenti per i crediti derivanti dalle comunicazioni inviate all’Agenzia dal primo novembre 2022 al 31 marzo 2023. Nonché per il sismabonus e il bonus barriere architettoniche le comunicazioni inviate fino al 31 marzo 2023. Ciascuna nuova rata annuale potrà essere utilizzata esclusivamente in compensazione, e non potrà essere a sua volta ceduta, né ulteriormente ripartita.

Rateizzare parte della rata ed eventuali altri crediti acquisiti

Fornitori e cessionari potranno comunicare all’Agenzia la volontà di optare per la rateizzazione lunga, al posto di quella originariamente prevista, semplicemente accedendo all’area riservata del sito dell’Agenzia. La comunicazione può riguardare anche solo una parte della rata del credito al momento disponibile. Con successive comunicazioni potranno essere infatti rateizzati, anche in più soluzioni, la restante parte della rata e gli eventuali altri crediti nel frattempo acquisiti. Se alla fine del 2023 il soggetto avrà altri crediti residui non compensabili, riferisce Adnkronos, potrà comunicare all’Agenzia di volerli ripartire nei successivi dieci anni. In alternativa a questa prima soluzione, sarà possibile attendere la fine del 2023 per avere contezza dei crediti residui non compensabili, e inviare la relativa comunicazione all’Agenzia.