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Le tre tipologie del lavoro a distanza e il loro livello di engagement

Lo smart working, introdotto dalle aziende “in corsa” per l’emergenza sanitaria, è diventato a tutti gli effetti una modalità di lavoro estremamente diffusa e applicata. Tanto che, a oggi, sono ancora 3,6 milioni i lavoratori da remoto. Anche se si tratta di circa 500 mila unità in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella Pubblica Amministrazione, le previsioni parlano di un graduale aumento del remote working nel corso del 2023, fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di smart working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico. I dati sono il frutto della ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.

I profili dei lavoratori 

Ma chi sono i lavoratori a distanza, e di quale tipologia? A questo quesito risponde ancora la ricerca, evidenziando che in base alla modalità di lavoro adottata, è possibile identificare tre profili di lavoratori. Si tratta di on-site worker, che lavorano stabilmente presso la sede di lavoro, lavoratori remote non smart, che hanno la possibilità di lavorare da remoto ma non altre forme di flessibilità, e smart worker, che hanno flessibilità sia di luogo sia oraria e lavorano secondo una logica orientata agli obiettivi. Analizzando il benessere dei lavoratori sia dal punto di vista psicologico che relazionale, gli smart worker hanno migliori risultati sia rispetto agli on-site worker sia ai lavoratori remote non smart. Questi ultimi mostrano livelli di benessere più bassi non solo rispetto agli smart worker, ma su molte dimensioni anche rispetto ai lavoratori on-site che non hanno la possibilità di lavorare da remoto. La sola possibilità di lavorare da remoto, se non accompagnata da un’opportuna revisione del modello organizzativo, non dà benefici ai lavoratori in termini di benessere ed engagement. 

Benessere più elevato fra gli smart worker

I lavoratori che manifestano i livelli più elevati di benessere sono infatti gli smart worker, tra i quali il 13% risulta pienamente ingaggiato, mentre i lavoratori remote non smart privi di flessibilità ulteriori oltre a quelle di luogo di lavoro, risultano avere minore benessere e un livello di engagement molto basso (6%), inferiore non solo ai veri smart worker, ma anche ai lavoratori on-site (12%). Il solo lavoro da remoto, cioè, se non inserito in una cornice più ampia di flessibilità e revisione dei processi, non porta benefici né a livello personale né organizzativo, ma può invece condurre a esiti più negativi persino rispetto a chi non ha alcuna forma di flessibilità come i lavoratori on-site. Chi ha applicato lo smart working in modo emergenziale durante la pandemia deve essere consapevole che, se tornare indietro a un modello tradizionale di lavoro on-site può risultare difficile o impopolare, fermarsi a una applicazione superficiale, senza un’evoluzione coerente del modello organizzativo e manageriale che preveda una crescita di autonomia nella gestione degli orari e nel lavoro per obiettivi, rischia di non far ottenere benefici di miglioramento di produttività e benessere, e addirittura peggiorare la situazione rispetto a una condizione tradizionale di lavoro on-site.

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Il mercato Tech può crescere ancora: le sfide del 2022

Il mercato della Tecnologia di consumo ora si trova ad affrontare un periodo ricco di sfide. Dopo il boom di vendite registrato durante la pandemia, le dinamiche macroeconomiche stanno causando un incremento drastico del costo della vita per i consumatori. E le continue interruzioni della Supply Chain stanno portando a un aumento dei costi e a una disponibilità limitata dei prodotti. La situazione attuale ha portato anche in Italia a una leggera flessione del mercato, che segna un -0,4% da gennaio ad agosto 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021, per un fatturato totale di 10,4 miliardi di euro.

Tagliare gli investimenti non è la soluzione migliore

Il report GfK State of Consumer Technology & Durables Report fornisce un’istantanea sul mercato globale della Tecnologia di consumo e dei beni durevoli, mettendo in luce i principali trend relativi al comportamento dei consumatori e i mercati. Nonostante le difficoltà del momento, tagliare gli investimenti potrebbe non essere la soluzione migliore. L’analisi delle crisi passate dimostra infatti come le aziende che continuano a innovare abbiano maggiori probabilità di mantenere la propria quota di mercato, e riprendersi più velocemente rispetto alle aziende che tagliano gli investimenti. Per continuare ad avere successo, Retailer e Produttori devono quindi adattare rapidamente le proprie strategie ai cambiamenti del contesto.

Rivalutare i modelli di approvvigionamento

Innanzitutto, per compensare le interruzioni della filiera distributiva, Retailer e Produttori dovrebbero rivalutare i propri modelli di approvvigionamento, e la dipendenza dai singoli mercati di produzione. Ad esempio, diversificando i canali di produzione e distribuzione per suddividere il rischio, o implementando modalità innovative di gestione delle scorte. I modelli di vendita indiretta, come quella attraverso i distributori, sono diventati molto popolari durante la pandemia. Le vendite dei distributori italiani, ad esempio, sono aumentate di circa il +12% nel 2020 rispetto al 2019. E se da gennaio ad agosto 2022 erano ancora superiori del 21% rispetto allo stesso periodo del 2019, si registra un -0,9% rispetto al 2021.

Ottimizzare l’offerta ed esplorare nuovi mercati

Il sentiment dei consumatori è ancora in discesa. Tuttavia, esistono ancora settori che offrono ottime possibilità di crescita all’interno del mercato Tech di consumo. A livello italiano, ad esempio, le vendite di termostati intelligenti per il risparmio energetico da gennaio a luglio 2022 sono aumentate del +22% rispetto allo stesso periodo del 2019. Retailer e Produttori dovrebbero quindi ottimizzare la propria offerta, puntando su prodotti in grado di appassionare o offrire un vantaggio economico ai consumatori. Inoltre, molti Paesi in via di sviluppo stanno subendo meno gli effetti della crisi e hanno ancora tassi di penetrazione molto bassi. Pertanto, focalizzare le proprie strategie su questi mercati potrebbe creare nuove opportunità di crescita.

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Niente sprechi in cucina? Ecco come fare

L’attenzione alla sostenibilità a tutto campo si può esprimere anche fra le mura di casa, come punta a ricordare la giornata internazionale della Consapevolezza sugli Sprechi e le Perdite Alimentari che cade ogni anno il 29 settembre. Per l’occasione, Uber Eats ha messo a punto una sorta di prontuario realizzato in collaborazione con Fabio Iraldo, professore ordinario di Management presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Si tratta di consigli facili, che ciascuno di noi può adottare per rendere la propria vita, e la propria cucina, più ecofriendly e a minor impatto ambientale.  Anche i piccoli gesti fanno la differenza: le nostre abitudini alimentari incidono profondamente sulla qualità dell’ecosistema in cui viviamo, tanto che la produzione e il consumo di cibo è responsabile di oltre il 35% degli impatti ambientali complessivi.

Due miliardi di tonnellate di cibo sprecate ogni anno

“Di tutto il cibo prodotto nel mondo quasi la metà viene sprecata, circa 2 miliardi di tonnellate ogni anno. Sebbene lo spreco avvenga lungo tutta la catena alimentare, si stima che gli sperperi di noi consumatori ammontino a ben un terzo di tutte le pietanze preparate e servite sulle nostre tavole” ha detto Iraldo. “Alla luce di queste considerazioni, si può constatare quindi che le persone dovrebbero essere educate e sensibilizzate sulla necessità di adottare una “dieta sostenibile” e incentivate a ridurre al massimo gli sprechi”.

Cinque consigli facili

Il primo consiglio, divenuto ormai famoso, è quello di spegnere i fornelli una volta avvita la cottura di un piatto e proseguire  con la cottura passiva, sfruttando la dissipazione graduale che consente di continuare a cuocere senza sprecare energia.
Il secondo è di preferire le verdure completamente edibili, quelle cioè di cui non si scarta nulla: l’’impronta ambientale di quelle dove solo il frutto è commestibile è infatti molto più alta.
Terza dritta, utilizzare i condimenti – come sale, zucchero e olio – con la massima attenzione (e parsimonia) in virtù dell’impatto non irrilevante delle loro filiere.
Quarta indicazione: per alcuni cibi, come ad esempio la pasta, il consumo idrico della fase di cottura rappresenta un impatto sull’ambiente decisamente impattante. Quando l’acqua di cottura esaurisce la propria funzione, invece di gettarla, si potrebbe riutilizzare per la preparazione di altri piatti. Lo stesso vale per l’acqua utilizzata per cuocere le verdure.
Infine, è opportuno fare attenzione anche al packaging: optare per prodotti alimentari che hanno un packaging più “leggero”, oppure in materiali innovativi (es. biodegradabile) oppure ancora composto di materiali riciclati, può contribuire a evitare lo spreco di materia.

I più importanti dispositivi di protezione individuale ad alta quota

Quella del lavoro ad alta quota è notoriamente una delle attività più pericolose che si possano effettuare in un cantiere, considerando che maggiore è l’altezza dalla quale si verifica una eventuale caduta, maggiori sono le probabilità di spiacevoli conseguenze.

In particolar modo il D.Lgs 81/08 ha individuato in due metri l’altezza oltre la quale si può parlare di lavori in alta quota e per la quale è necessario adottare tutte le misure di sicurezza previste per tutelare l’incolumità dei lavoratori. Tali misure di sicurezza hanno il preciso compito di arrestare la caduta degli operai nel caso in cui questa si verifichi, e farlo in maniera tale da rendere innocuo per il loro corpo anche l’operazione di arresto.

Vedremo di seguito che ciò è possibile mediante l’utilizzo di particolari dispositivi che hanno la capacità di arrestare in maniera progressiva, ma al tempo stesso rapida, la caduta di un operaio che sta lavorando ad una determinata quota.

Gli obblighi del datore di lavoro

È il capo II del già citato D.Lgs 81/08 ad individuare quali siano gli obblighi del datore di lavoro, e si tratta di misure che hanno consentito di ridurre in maniera drastica il numero di incidenti in cantiere. In particolar modo la normativa prevede che il datore di lavoro abbia l’obbligo di dare priorità alle misure di protezione collettive prima ancora che a quelle individuali.

Inoltre l’attrezzatura messa  disposizione dei lavoratori deve essere adeguata al tipo di lavoro che gli operai si apprestano ad effettuare.

La diminuzione degli incidenti è stata ottenuta grazie anche all’introduzione, anch’essa obbligatoria, di dispositivi di protezione individuale e collettivi di nuova generazione. Di seguito vediamo quali sono.

I dispositivi di protezione individuale

Di seguito elenchiamo i principali dispositivi di protezione individuale e collettiva presenti in cantiere.

Caschi da lavoro antinfortunistici

I caschi da lavoro antinfortunistici sono probabilmente il primo dei dispositivi di protezione che viene in mente quando si parla di cantieri e di lavoro ad alta quota. Essi sono essenziali per proteggere i lavoratori dagli urti accidentali o da oggetti pesanti che cadono dall’alto. Vengono impiegati sia nei lavori ad alta quota (ponteggi e lavori edili in quota) ma anche all’interno di miniere o in occasione di scavi.

Esistono i caschi classici, quelli che resistono anche alla pressione laterale, i caschi con proprietà dielettriche (resistono all’elettricità) e quelli che proteggono i lavoratori che adoperano attrezzatura pericolosa come martelli pneumatici o motoseghe.

Imbracature

Le imbracature rappresentano un elemento di fondamentale importanza nell’economia della sicurezza in cantiere, dato che assicurano gli operai che lavorano ad una determinata altezza impedendo che possano cadere nel vuoto in caso di passo falso. Esse devono essere conformi con quanto previsto dalla normativa vigente, oltre a consentire agli operai di muoversi in maniera agevole.

Grazie alle imbracature è possibile dunque assicurare il lavoratore ad un punto fisso, così da fare in modo che non cada, grazie anche all’utilizzo integrato dei dispositivi di ancoraggio.

Molto importante è anche il modo in cui le imbracature vengono conservate o lavate, dato che a lungo andare possono incidere sulla capacità di resistenza delle stesse.

Dispositivi di ancoraggio

Ci sono diversi elementi che completano il lavoro dell’imbracatura, tra questi la cinghia, la linea vita tetto cui agganciarsi, assorbitori e dispositivi retrattili. Sono tutti elementi che consentono di arrestare la caduta e ammorbidirla, mantenendo il corpo in sospensione senza conseguenze.

L’utilizzo congiunto di questi dispositivi di protezione consente agli operai di potersi tranquillamente dedicare alle quotidiane operazioni di lavoro senza temere nulla. Ogni evento inatteso infatti, non può essere pericoloso oltre un certo limite e dunque l’incolumità fisica dei lavoratori sarà sempre preservata.

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Dati personali rubati sul Dark Web: in Italia +44,1%

Nella prima metà del 2022 sono stati 780.000 gli alert relativi ai dati rilevati sul dark web, +44,1% rispetto al semestre precedente, e oltre 70.000 quelli sull’open (-4,9%). L’Italia è al 14° posto assoluto tra i paesi più colpiti. Il maggior numero di persone allertate vive nel Lazio (21,5%) e in Lombardia (13,4%), e la maggior parte dei profili violati riguarda account di posta elettronica (27,0%) e siti di intrattenimento (21,0%). Le attività degli hacker stanno quindi continuando con grande intensità nel 2022. Secondo l’ultima edizione dell’Osservatorio Cyber realizzato da CRIF, il numero di account che hanno visto compromesse le proprie credenziali è significativamente aumentato, in combinazione con altri dati utilizzati da hacker e frodatori.

Cosa circola sul dark web?

Le credenziali rubate possono essere utilizzate per entrare negli account delle vittime, utilizzare servizi in modo abusivo, inviare email con richieste di denaro o link di phishing, inviare malware o ransomware per estorcere o rubare denaro. I dati personali degli utenti italiani che prevalentemente circolano sul dark web sono principalmente credenziali email, numero di telefono, e dominio email. L’indirizzo postale poi sta diventando un dato personale particolarmente appetibile, perché consente di completare il profilo della vittima e geolocalizzarlo. Nel primo semestre del 2022 l’indirizzo postale completo è stato trovato in combinazione con un numero di telefono nel 70% dei casi.

L’uso di password estremamente banali

Il livello di vulnerabilità degli account è amplificato in modo esponenziale dall’uso di password estremamente banali. L’utilizzo di codici di accesso particolarmente semplici potrebbe sembrare un modo pratico per ricordarli, ma comporta un elevato rischio per la sicurezza. Le password restano tra le informazioni riservate che maggiormente circolano in modo indebito: spesso si tratta di combinazioni di numeri e lettere poco articolate (al primo posto della top 10 si colloca la sequenza ‘123456’). Ma se in Italia tra le password più comuni rintracciate sul dark web si trovano anche nomi propri e nomi di squadre di calcio, nel primo semestre 2022 compaiono anche ‘iloveyou’ e ‘secret. Tutti questi codici possono essere hackerati in un tempo limitatissimo.

Quando email e username sono associati a una password

Quanto alle combinazioni principali tra i dati intercettati sul web, molto spesso le email (88,1% dei casi) e gli username sono associati a una password. E per quanto riguarda i dati personali, spesso al nome e cognome viene associato il numero di telefono (52,2% dei casi), in crescita del +251% rispetto al secondo semestre 2021. Questa combinazione risulta particolarmente preziosa per i frodatori, specie per i tentativi di smishing o sim swapping. Il numero di telefono, quando associato alla password (33,7% dei casi), aumenta considerevolmente il livello di vulnerabilità. Infine, relativamente ai dati delle carte di credito, nel 95,9% dei casi, oltre al numero della carta, sono presenti anche cvv e data di scadenza.

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Le figure professionali più affidabili? Ancora medici e scienziati. Politici all’ultimo posto

Qual è il livello di fiducia riposto a livello internazionale nelle diverse categorie professionali? Anche quest’anno risponde il sondaggio Global Trustworthiness Index ‘Fiducia nelle professioni’ di Ipsos, che rileva in media come il 59% degli intervistati consideri i medici come le figure professionali maggiormente affidabili, seguite da scienziati (57%) e insegnanti (52%). Ancora una volta dirigenti pubblicitari (18%), ministri del Governo (16%) e politici (12%) sono le categorie ritenute più inaffidabili. Ma se il Covid-19 ha avuto un impatto notevole sulla posizione occupata da medici e scienziati, rispetto all’anno scorso il livello di fiducia in entrambe le categorie è leggermente diminuito, rispettivamente di 6 e 4 punti, ritornando agli stessi valori di prima della pandemia.

La Spagna ha più fiducia nei dottori, la Cina negli scienziati

La Spagna è il Paese che affida il punteggio più alto di fiducia nei medici (71%), ma quest’anno in quattro Paesi meno della metà degli intervistati considera i medici affidabili: Corea del Sud (43%), Giappone (43%), Ungheria (40%) e Polonia (39%). Anche in Italia, rispetto all’anno scorso, la fiducia in medici e dottori è diminuita, passando dal 65% nel 2021 al 54% nel 2022. Nonostante ciò, resta la seconda categoria professionale in classifica percepita affidabile dagli italiani. I Paesi in cui invece si registrano i livelli più alti di fiducia negli scienziati sono Cina (71%), Messico (70%) e Spagna (70%). Al contrario, quelli meno propensi a considerare gli scienziati affidabili sono Corea del Sud (49%), Polonia (48%), Sud Africa (44%) e Giappone (37%). In Italia, gli scienziati rappresentano la categoria professionale ritenuta maggiormente affidabile (56%), anche se, al pari di medici e dottori, il livello di fiducia è diminuito di 12 punti rispetto all’anno scorso. Un calo della fiducia si è verificato anche in Polonia e Ungheria (-13 punti) e negli USA (-9 punti). In Messico, invece, è aumentata di 10 punti rispetto al 2021.

Insegnanti: affidabili per il 52% della popolazione

Gli insegnanti rimangono la terza professione più affidabile per il quarto anno consecutivo, con il 52% degli intervistati a livello internazionale che li ritiene affidabili. I Paesi che li considerano più affidabili sono Cina (66%), Brasile (64%) e Cile (63%), meno Polonia (34%), Corea del Sud (31%) e Giappone (17%). I valori relativi alla fiducia negli insegnanti hanno registrato minori variazioni rispetto a quelli relativi a medici e scienziati. Tuttavia la fiducia è diminuita di 10 punti in Polonia, 9 punti in Malesia e 8 in Italia, passando dal 51% del 2021 al 43% del 2022.

In Italia solo il 9% ritiene i politici affidabili

A livello internazionale, tre professioni si distinguono per essere considerate meno affidabili. In linea con i punteggi registrati lo scorso anno, soltanto il 18% degli intervistati ripone fiducia nei dirigenti pubblicitari, il 16% nei ministri del Governo e il 12% nei politici. In Italia, soltanto il 9% dei cittadini ritiene i politici affidabili, e il 15% ritiene affidabili ministri del Governo e dirigenti pubblicitari.

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Imprese femminili: più digitali e green, ma investono poco

La ripresa post-pandemia ha convinto il 14% delle imprese femminili a iniziare a investire nel digitale, contro l’11% delle aziende maschili, e il 12% a investire nel green. A queste si aggiunge un ulteriore 31% che in questi anni ha aumentato o mantenuto costante gli investimenti in tecnologie digitali, e il 22% che ha fatto altrettanto nella sostenibilità ambientale. Insomma, quanto a voglia di innovazione le imprese femminili hanno una marcia in più. Le donne d’impresa si sono lanciate nella duplice transizione che le politiche europee sostengono con forza, ma non senza difficoltà. La metà delle imprese femminili ha infatti interrotto gli investimenti o esclude di volerli avviare nel prossimo futuro.
Lo attesta il V Rapporto sull’imprenditoria femminile, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Centro studi Tagliacarne e Si.Camera.

Le attività guidate da donne sono il 22,2% del totale

A fine giugno 2022, l’esercito delle imprese femminili conta un milione e 345mila attività, il 22,2% del totale delle imprese italiane. Questo universo ha caratteristiche proprie rispetto alle imprese gestite da uomini: maggior concentrazione nel settore dei servizi (66,9% vs 55,7%), minori dimensioni (il 96,8% sono micro imprese fino a 9 addetti vs 94,7% delle maschili), forte diffusione nel Mezzogiorno (36,8% vs 33,7%). Le imprese femminili hanno però una minore capacità di sopravvivenza: a tre anni dalla costituzione, restano ancora aperte il 79,3% delle attività, rispetto all’83,9% di quelle a guida maschile, e dopo cinque anni, la quota delle imprese che sopravvivono è del 68,1%, contro il 74,3% delle altre.

Più imprenditrici nell’industria, servizi, società di capitali, e Mezzogiorno

Nel secondo trimestre 2022, rispetto allo stesso periodo del 2021, il numero delle imprese femminili è rimasto sostanzialmente stabile, crescendo di 1.727 unità (+0,1%). Il confronto con lo scorso anno mostra un incremento delle imprese femminili soprattutto nell’industria (+0,3%) e nei servizi (+0,4%), tra le società di capitali (+2,9%), nel Mezzogiorno (+0,6%), tra le imprese straniere (+2,6%).
Le imprese giovanili femminili sono poi il 10,5% del totale delle aziende condotte da donne, mentre l’imprenditoria giovanile pesa il 7,6% sull’insieme di quelle maschili. Inoltre, le imprenditrici di origine straniera tra le imprese femminili sono l’11,8%, a fronte del 10,4% di quelle condotte da uomini.

Migliorare la formazione su nuove tecnologie 4.0

“Di fronte alle grandi sfide poste dal PNRR al sistema produttivo nazionale, le donne italiane a capo di un’impresa stanno rispondendo positivamente, accelerando sul fronte degli investimenti digitali e in tecnologie più rispettose dell’ambiente – commenta Andrea Prete, presidente Unioncamere -. Ma questa inclinazione va sostenuta e aiutata. Le imprenditrici, infatti, sentono l’esigenza di migliorare la formazione alle nuove tecnologie 4.0 e green sia a livello scolastico sia universitario, avere un accesso più facile alle risorse finanziarie, semplificare le procedure amministrative. E chiedono anche una forte e costante attività di sensibilizzazione su questi temi, per comprenderne meglio la portata e gli effetti”.

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Lavoro, non solo hi-tech: ecco quali sono gli artigiani più ricercati

Sappiamo tutti che nei prossimi anni saranno le professioni legate alle tecnologie quelle che avranno più “mercato”. Ma c’è anche un altro settore sempre a caccia di talenti: è quello dell’artigianato, che ha bisogno di esperti in arti e mestieri spesso antichi. Qualche esempio? Il liutaio, il maestro incisore e la ricamatrice a mano. Tutti lavori che affondano la loro origine lontano nel tempo, ma attuali ancora oggi e che soprattutto offrono un futuro. Ecco la classifica dei 10 mestieri artigiani più ricercati in base a un’indagine effettuata da Espresso Communication per Cameo italiano sulle principali testate di settore. 

Dal liutaio al tessitore

Dall’analisi, si scopre che spesso i mestieri artigiani sono strettamente legati al meglio e alla tradizione del Made in Italy. Come il Conciatore di pelli: l’industria conciaria italiana è un’eccellenza manifatturiera conosciuta in tutto il mondo. Il Liutaio è un mestiere nato nell’epoca barocca; il liutaio si occupa di costruire e restaurare strumenti ad arco (come violini e violoncelli) e a pizzico (liuti, chitarre e mandolini). In Italia la culla di quest’arte è a Cremona mentre in Europa è rinomata la produzione artigianale di Granada. Il Maestro incisore su conchiglia e corallo è un’artigianalità tipica di Torre del Greco: La creazione del cammeo su conchiglia e corallo ancora oggi viene affidata alle sapienti mani di maestri artigiani che lavorano la materia secondo tecniche e tradizioni che hanno attraversato secoli di storia. La Ricamatrice a mano: dalle mercerie alle grandi aziende, l’Italia si è sempre contraddistinta nel mondo per la qualità e il pregio delle ricamature per abbellire o impreziosire ogni tipologia di tessuto, come lino, seta, lana, cotone. L’Impagliatore è l’artigiano esperto nella lavorazione della paglia e del vimine crea sedie, cestini di varia grandezza e contenitori per damigiane. Mestiere tornato alla ribalta anche grazie alla riparazione delle sedute delle sedie che vengono prodotte industrialmente. Tessitore: sono diverse le aziende alla ricerca di tessitori in grado di utilizzare i telai per realizzare prodotti finiti direttamente dai filati. Una particolare categoria sono gli arazzieri che tramite un’antica tecnica di lavorazione realizzano pregiati articoli di tappezzerie per adornare le pareti.

E dal bombonierista al ramaio

Bombonierista è l’esperto nel confezionamento artigianale delle bomboniere, che accompagnano la celebrazioni tradizionali come matrimoni, cresime, battesimi. L’Ornatista è l’artigiano specializzato in opere e lavori di pura ornamentazione; è sempre stato una figura richiesta nel campo dei modellatori, intagliatori e incisori e, grazie alle sue doti manuali, è in grado di perfezionare e rendere unico un manufatto. Il Lattoniere: sono sempre di meno gli operai specializzati che lavorano le lamiere con utensili manuali o macchine piegatrici. I lattonieri sono in grado di realizzare lamiere, tubazioni, raccorderia e grondaie per l’edilizia e di riparare le carrozzerie delle autovetture. Infine il Ramaio: sebbene la produzione industriale abbia preso il sopravvento, ci sono ancora alcuni artigiani che realizzano pezzi di artigianato (una volta era pentolame da cucina) partendo da semplici fogli di rame che vengono tagliati, modellati con un martello e infine saldati tra loro.

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Commenti su YouTube: un nuovo strumento per i truffatori

Cosa c’entrano YouTube, le cripotvalute e le truffe online? Lo spiega Kaspersky: l’instabilità dei tassi di cambio delle criptovalute ha portato i cybercriminali a scovare nuovi modi per incastrare le proprie vittime. Gli esperti, infatti, hanno assistito a uno schema insolito in cui gli attaccanti promuovono falsi servizi legati alle monete virtuali su YouTube. I truffatori cercano di raggiungere le persone interessate a criptovalute a basso costo commentando i video più popolari pubblicati sulla piattaforma. I commenti promuovono una falsa ‘breccia’ nel mercato delle criptovalute: per renderli più visibili i criminali falsificano le statistiche e inseriscono risposte bot per amplificare il commento iniziale.

La vittima viene reindirizzata a un video fake

In pratica, nel commento si invita l’utente a visitare il canale YouTube dell’autore e a guardare un video che fornisce istruzioni su come trarre vantaggio da un presunto bug del tasso di cambio.
Un indizio che dovrebbe creare sospetti, ma che spesso non viene notato dalla vittima, è rappresentato dal fatto che spesso sul canale YouTube a cui si viene reindirizzati non ci sono altri video oltre a quello suggerito nel commento. Il video è chiaramente un fake: le modifiche alle righe dei tassi di cambio sono visibili a occhio nudo e i commenti sono pieni di feedback entusiasti. Il link sotto al video porta a un exchanger fraudolento. Una volta che l’utente arriva sulla pagina web indicata nella descrizione, visualizza una funzione per scambiare bitcoin. Nel momento in cui la vittima utilizza questa funzione il denaro non sarà più visibile.

Come evitare di essere truffati?

A volte le e-mail e i siti web falsi sono molto simili a quelli veri, dipende dall’abilità dei criminali. In particolare, i collegamenti ipertestuali saranno molto probabilmente errati, con errori di ortografia. Tuttavia, i link possono anche essere camuffati in modo da sembrare validi. Per evitare di essere truffati e perdere denaro e informazioni sensibili gli esperti Kaspersky raccomandano di controllare qualsiasi link prima di aprirlo. Per visualizzare l’anteprima dell’URL, è necessario passare il mouse sul link e verificare che non vi siano errori ortografici o irregolarità. È inoltre buona norma inserire nome utente e password solo attraverso una connessione sicura. 

Assicurarsi che la pagina di pagamento e checkout online sia sicura

Per proteggere i dati e le proprie finanze, è buona norma assicurarsi che la pagina di pagamento e di checkout online sia sicura. È possibile verificarlo osservando che l’URL della pagina web inizi con HTTPS anziché con il solito http. Inoltre, accanto all’URL compare di solito l’icona di un lucchetto e la barra degli indirizzi di alcuni browser è verde. Se queste caratteristiche non sono visibili, non bisogna procedere. Ma soprattutto, utilizzare una soluzione di sicurezza affidabile che aiuti a verificare la sicurezza dell’URL, e che permetta di aprire qualsiasi sito in un contesto protetto.

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Quale musica si ascolta a tavola?

Si sa che gli italiani sono amanti della buona cucina e, allo stesso tempo, pure della musica. Non sorprende dunque che i nostri connazionali abbiano delle vere e proprie “colonne sonore” quando consumano i loro pasti. A confermarlo è una recente indagine condotta da Uber Eats, che ha realizzato la ricerca “Il cibo è musica” coinvolgendo circa 1.200 persone. In particolare, si scopre che a determinati alimenti è associata una tipologia di musica ben precisa: ad esempio, la pizza è pop, carne e hamburger rock, sushi è jazz, il poke disco dance. In sintesi, l’analisi ha esplorato  in che modo il cibo sia entrato sempre più nella sfera emozionale dell’uomo, legandosi ad altri elementi esperienziali della persona, come l’ascolto della musica e la preferenza di specifici generi musicali, dando vita ad un connubio coerente e capace di trasmettere sensazioni positive.

Note e piatti

La maggior parte degli intervistati ha dichiarato di ascoltare musica classica (23%) durante i pasti. Seguono la musica pop (22%), quella rock (17%), il jazz (14%), la dance (10%) e il metal (9%). Ma l’indagine ha anche esaminato quali siano i principali profili musicali legati al mondo del cibo e dei sapori. Sul podio del cibo preferito degli adepti della musica classica c’è la pasta (21%) al primo posto, seguita dalla pizza (16%) e dalla carne (12%). La preferenza nelle abitudini alimentari punta a un ‘mangiar sano e leggero’ (25%), ma spazia tra il ‘mangiare lentamente per gustare i sapori’ (22%) e il ‘piacere di piatti ricchi e gustosi’ (13%). Gli amanti del rock prediligono la pizza (17%), seguita a pari merito (15%) da dolci e frutta secca per finire con la pasta (12%). Da veri rocker, in risposta alle abitudini alimentari ai pasti il 23% ha affermato “preferisco a tavola i sapori forti e i cibi speziati”. 

Pop, dance e metal

Chi ascolta  pop ha un occhio di riguardo per la linea e adora la ‘frutta e verdura di stagione’ (17%). Sul podio seguono comunque i dolci (15%) e la pasta (14%). L’estetica a tavola non può mancare, l’abitudine preferita di chi ascolta pop si racchiude in questa affermazione (23%): “amo consumare cibi che oltre ad essere buoni abbiano anche un bell’aspetto”. Il dolce è la prelibatezza di chi ascolta dance, almeno per il 17% degli intervistati, seguito dalla frutta secca (16%) e dalla pizza (15%). I metallari, infine, adorano la carne: il 17% la mette al primo posto, seguita da pasta e frutta secca (15%) e al terzo posto la pizza (13%). Per chiudere in bellezza, un’altra sorta di conferma circa il popolo del metal: l’abitudine a tavola? Per il 24% è quella di ‘mangiare velocemente’.